Continuità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale e trasferimento d'azienda
Tribunale Bari, Sezione Lavoro civile, Sentenza 24 ottobre 2013, n. 10954
TRASFERIMENTO D'AZIENDA. ILLEGITTIMITA' LICENZIAMENTO - TRASFERIMENTO DI AZIENDA - MUTAMENTO DEL TITOLARE - STRUMENTO TECNICO-GIURIDICO ATTUATIVO DELLA SOSTITUZIONE - IRRILEVANZA - FATTISPECIE - ACCERTAMENTO DEL TRASFERIMENTO D'AZIENDA - LICENZIAMENTO PER ASSERITA CESSAZIONE ATTIVITÀ - ILLEGITTIMITÀ
Il trasferimento di azienda, disciplinato dalla previsione di cui all'art. 2112 c.c., ha luogo ogni qualvolta, ferma restando l'organizzazione del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'attività economica, ne muta il titolare in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio. La previsione di cui alla richiamata norma, in particolare, trova applicazione ogni qualvolta, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, abbia unicamente luogo la sostituzione della persona del titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico attuativo della sostituzione. La circostanza ricorre nella fattispecie concreta, ove dall'istruttoria svolta è chiaramente emersa la continuità della vicenda lavorativa tra la società cessionaria e la ditta cedente, posto che la prima svolgeva la medesima attività, impiegava il medesimo personale ed utilizzava i medesimi beni aziendali della cedente. Stante quanto innanzi ed accertato, dunque, che l'attività lavorativa proseguiva di fatto senza interruzione in capo ad altro titolare, in accoglimento del proposto ricorso deve farsi luogo alla declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogato al prestatore per una pretesa cessazione di attività, non avendo la parte datoriale provato la sussistenza di un valido motivo oggettivo del recesso dal rapporto di lavoro da essa esercitato.
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Bari (Dott.ssa Angela Vernia), con sentenza del 24 ottobre 2013, ha deciso in merito alla domanda proposta da un lavoratore, con ricorso depositato sin dal 5 settembre 2002, con il quale il ricorrente aveva chiesto di accertare l'intervenuto trasferimento di azienda tra la ditta cedente e la cessionaria, con diritto dello stesso istante alla continuazione del proprio rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria.
Il lavoratore, inoltre, chiedeva dichiararsi la nullità e/o illegittimità del licenziamento intimato il 30 marzo 2002 perché discriminatorio o comunque illegittimo per violazione dell'art. 2112 e perché privo di giustificato motivo con conseguente condanna delle convenute, in solido tra loro, al risarcimento del danno nella misura quantificata in ricorso.
Ritualmente instaurato il contraddittorio, la parte resistente eccepiva preliminarmente la nullità del ricorso, invocava nel merito il rigetto della domanda, spiegando una domanda riconvenzionale volta alla condanna del ricorrente al pagamento della complessiva somma di € 25.000,00 a titolo di risarcimento del danno.
A seguito della espletata istruttoria la causa veniva decisa, con accoglimento della domanda.
In primo luogo, il Giudice, richiamando il diffuso orientamento dei giudici di legittimità, rigettava la eccezione di nullità del ricorso, atteso che l'omessa indicazione degli elementi di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 414 c.p.c, determinazione dell'oggetto della domanda ed esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui essa si fonda, comporta la nullità del ricorso solo ove sia assolutamente impossibile la relativa enucleazione. In particolare, non è sufficiente l'omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che non sia possibile l'individuazione attraverso l'esame complessivo dell'atto (si veda ex plurimis Cass. n. 8839/2002), "eventualmente anche alla luce della documentazione allegata al ricorso ed in questo indicata" (Cass. n. 12059/2003), ed al "contenuto dei mezzi istruttori dedotti" (Cass. n. 7137/2002).
Al contrario, nel caso di specie, osservava il Giudicante, i suddetti elementi emergevano pacificamente dall'atto introduttivo nel suo complesso. Infatti, per quanto si legge nella motivazione in commento, ad un attento esame dello stesso si evince quale sia il concreto risultato utile (accertamento della cessione d'azienda, dell'illegittimità del licenziamento e conseguenti rivendicazioni risarcitorie) che il ricorrente intende conseguire, tenuto conto dei fatti che lo stesso deduceva a fondamento delle sue richieste e delle ragioni giuridiche indicate.
Quanto al merito della controversia, osserva il Giudicante che in presenza della comunicazione di risoluzione del rapporto di lavoro del 30.3.2002 inviata, può ritenersi provato l'intervenuto trasferimento di azienda tra la predetta ditta e la precedente, ai sensi dell'art. 2112 cc.
Infatti, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte si configura il trasferimento di azienda in tutti i casi in cui, ferma restando l'organizzazione del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'attività economica, ne muta il titolare in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio (cfr. tra le tante Cass. nn. 18385/2009, 26215/2006, 493/2005). In particolare, le disposizioni di cui all'art. 2112 cod. civ. trovano applicazione tutte le volte che, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, ci sia soltanto la sostituzione della persona del titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico, attuativo di tale sostituzione (cfr. Cass. n. 12771/2012).
E' proprio il caso che si riscontra nella fattispecie in esame, per quanto statuisce il Giudice, alla luce di quanto emerso dall'istruttoria, riconoscendo così la pacifica continuità della vicenda, in quanto la società cessionaria - svolgeva la medesima attività della ditta cedente, impiegava il medesimo personale ed utilizzava ì medesimi beni aziendali.
E a tale decisione perviene, osservando che,dalle visure camerali prodotte in atti si evince che entrambi i soggetti espletavano sostanzialmente la stessa attività di lavorazione, con l'utilizzo degli stessi macchinari; anche i dipendenti "erano rimasti i medesimi, i quali erano semplicemente transitati" da una ditta all'altra, "senza interruzioni".
Risulta evidente, quindi per il Giudice, che vi è stato soltanto un mutamento della titolarità dell'azienda ma la struttura organizzativa e produttiva è rimasta inalterata.
Ciò posto, è noto che il trasferimento in quanto tale non può essere considerato un giustificato motivo di licenziamento, anche se la risoluzione del rapporto è stata giustificata con una pretesa "cessazione di attività", come indicato nella lettera di licenziamento.
Il Giudice, nel caso in questione, statuisce che, dalla completa istruttoria, è emerso che l'attività è continuata senza interruzione in capo ad altro titolare, né il datore di lavoro ha dimostrato la sussistenza di un valido giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Sicchè, sulla base di tali argomentazioni, riconosce l'illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente in data 31.3.2002, pur ritenendo superflue ulteriori considerazioni in merito alle inconsistenti ed indimostrate censure, in ordine alla pretesa discriminatorietà.
Al contrario, in ragione dell'accertato trasferimento d'azienda, intervenuto tra la ditta cedente e quella cessionaria, ai sensi dell'art. 2112 c.c., riconosce il conseguente diritto del ricorrente alla continuazione del rapporto con la cessionaria ad ogni effetto di legge.
Con l'ulteriore conseguenza che, dichiarata altresì l'illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente e, per l'effetto, condanna la ditta cedente e quella cessionaria, in solido tra loro, al pagamento, in favore del ricorrente, della complessiva somma richiesta, pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto a titolo di risarcimento del danno ex art. 8, 1. n. 604/1966, in considerazione delle dimensioni dell'impresa, del numero dei dipendenti e dell'anzianità di servizio del ricorrente di circa sedici anni.
Infine, la sentenza, nel motivare in merito alla domanda riconvenzionale, avanzata dalla parte resistente, circa un presunto risarcimento del danno per violazione dell'obbligo di fedeltà e del patto di non concorrenza ex art. 2105 c.c., nonché del preteso danno esistenziale arrecato al resistente, non manca di ricordare che, ai sensi dell'art. 2697 c.c., incombe sulla parte resistente, che propone domanda riconvenzionale, l'onere di provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della pretesa fatta valere con tale domanda.
Orbene, atteso che, per quanto motiva il Giudice, la parte resistente non ha fornito alcuna prova della pretesa violazione dell'art. 2105 c.c., da parte del lavoratore, né risulta compiutamente allegato o dimostrato l'asserito danno esistenziale, la domanda viene integralmente respinta per totale difetto di prova.
Solo per completezza, resta da richiamare il più recente orientamento dei giudici di legittimità (pure citato dalla sentenza in esame) secondo i quali le disposizioni di cui all'art. 2112 cod. civ. trovano applicazione tutte le volte che, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, vi è soltanto la sostituzione della persona del titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico, attuativo di tale sostituzione, e quindi anche nel caso di diversità di tale strumento dalla vendita, dall'affitto e dalla cessione in usufrutto dell'azienda, espressamente contemplati nella citata disposizione. Sicché è da ritenersi irrilevante la forma tecnico-giuridica adottata dalle parti, essendo sufficiente, ai fini dell'integrazione delle condizioni per l'operatività della tutela del lavoratore, il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell'esercizio dell'impresa, ossia la continuità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, restando immutati il complesso di beni organizzati dell'impresa e l'oggetto di quest'ultima. (Cass. 12771/2012).
Precisando ancora che, ai fini del trasferimento d'azienda, la disciplina di cui all'art. 2112 cod. civ. postula soltanto che il complesso organizzato dei beni dell'impresa - nella sua identità obiettiva - sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l'imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione.
In sostanza, in base al principio di effettività che disciplina il rapporto di lavoro subordinato, può ravvisarsi un trasferimento di azienda ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2112 cod. civ. anche a prescindere da un contratto di cessione, totale o parziale, dell'impresa.
E sotto il profilo dell'onere probatorio, spetta comunque al datore di lavoro di provare che vi sia stata effettivamente una cessione d'azienda al momento della cessione del contratto di lavoro, costituendo ciò il presupposto per l'applicabilità dell'art. 2112 cod. civ.
In ogni caso, laddove un contratto di cessione sussista, e laddove esso specifichi con chiarezza il ramo d'azienda ceduto ed il momento in cui la cessione avviene, con i conseguenti effetti giuridici, non può ritenersi operante l'art. 2112 cod. civ. da un momento, nella specie apprezzabilmente, anteriore.
In sostanza laddove vi sia la prova che la cessione è avvenuta solo in un momento apprezzabilmente successivo, la pregressa cessione del contratto di lavoro alla futura cessionaria resta disciplinata dall'art. 1406 cod. civ. e non già dall'art. 2112 cod. civ. (Cass. 11679/2012).
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