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MISURE CAUTELARI - REALI - SEQUESTRO PREVENTIVO - IN GENERE - DOMANDA DEL P.M. - NECESSITA'

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 11:46
MISURE CAUTELARI - REALI - SEQUESTRO PREVENTIVO - IN GENERE - DOMANDA DEL P.M. - NECESSITA' Con sentenza emessa il 20 dicembre 2013, la Sesta sezione della Corte di cassazione, annullando senza rinvio il provvedimento con cui il G.I.P. presso il Tribunale di Taranto aveva disposto, su richiesta del custode ed amministratore giudiziario di beni di alcune società già sottoposti a sequestro Administratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/misure-cautelari-reali-sequestro.html

IMPUGNAZIONI – PRESENTAZIONE A MEZZO TELEGRAMMA O RACCOMANDATA – SPEDIZIONE TRAMITE SERVIZIO DI RECAPITO PRIVATO - AMMISSIBILITA' - RAGIONI

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 10:50
IMPUGNAZIONI – PRESENTAZIONE A MEZZO TELEGRAMMA O RACCOMANDATA – SPEDIZIONE TRAMITE SERVIZIO DI RECAPITO PRIVATO - AMMISSIBILITA' - RAGIONI La Corte ha affermato che è ammissibile la presentazione di un atto di impugnazione a mezzo di raccomandata spedita tramite servizio di recapito privato, non rientrando tale servizio tra quelli riservati in via esclusiva a Poste Italiane dalla norma Administratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/impugnazioni-presentazione-mezzo.html

RESPONSABILITA' PER COLPA MEDICA - ESCLUSIONE NEI CASI DI COLPA LIEVE AI SENSI DELL'ART. 3 LEGGE N. 189 DELL'8 NOVEMBRE 2012 - FATTISPECIE

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 10:50
RESPONSABILITA' PER COLPA MEDICA - ESCLUSIONE NEI CASI DI COLPA LIEVE AI SENSI DELL'ART. 3 LEGGE N. 189 DELL'8 NOVEMBRE 2012 - FATTISPECIE La Quinta sezione della Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità della colpa lieve contemplata dall’art 3 della legge n. 189 del 2012, in relazione alla condotta del primario di un reparto di ginecologia che ebbe a rinviare un parto cesareo già Administratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/responsabilita-per-colpa-medica.html

PERSONA GIURIDICA- SOCIETA’- IN GENERE - RESPONSABILITA' DA REATO DEGLI ENTI - CONFISCA - SEQUESTRO - PROFITTO - DIRETTA CORRELAZIONE CON IL REATO - CONSEGUIMENTO DI UN RISULTATO ECONOMICO POSITIVO - ACCERTAMENTO - NECESSITA'

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 10:49
PERSONA GIURIDICA- SOCIETA’- IN GENERE - RESPONSABILITA' DA REATO DEGLI ENTI - CONFISCA - SEQUESTRO - PROFITTO - DIRETTA CORRELAZIONE CON IL REATO - CONSEGUIMENTO DI UN RISULTATO ECONOMICO POSITIVO - ACCERTAMENTO - NECESSITA' Con sentenza emessa il 20 dicembre 2013, la Sesta sezione della Corte di cassazione, ha annullato senza rinvio l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Taranto Administratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/persona-giuridica-societa-in-genere.html

MISURE CAUTELARI – ESIGENZE CAUTELARI – SOGGETTO INDAGATO PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA – PRESUNZIONE DI ADEGUATEZZA DELLA CUSTODIA IN CARCERE – SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 57 DEL 2013 – EFFETTI

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 10:48
MISURE CAUTELARI – ESIGENZE CAUTELARI – SOGGETTO INDAGATO PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA – PRESUNZIONE DI ADEGUATEZZA DELLA CUSTODIA IN CARCERE – SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 57 DEL 2013 – EFFETTI Nei confronti del soggetto raggiunto da ordinanza cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa, anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 57 del 2013, Administratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/misure-cautelari-esigenze-cautelari.html

MANDATO D’ARRESTO EUROPEO – PROCEDURA ATTIVA DI CONSEGNA – AUTORITA’ GIUDIZIARIA EMITTENTE – INDIVIDUAZIONE – GIUDICE PROCEDENTE

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 10:48
MANDATO D’ARRESTO EUROPEO – PROCEDURA ATTIVA DI CONSEGNA – AUTORITA’ GIUDIZIARIA EMITTENTE – INDIVIDUAZIONE – GIUDICE PROCEDENTE Le Sezioni unite della Corte di cassazione, risolvendo un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che, nella procedura attiva di consegna, la competenza funzionale ad emettere il mandato d’arresto europeo spetta al giudice che procede. (Nella specie, il principioAdministratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/mandato-darresto-europeo-procedura.html

STUPEFACENTI – MODIFICA DA PARTE DEL COMMA QUINTO DELL’ART. 73 DEL D.P.R. N. 309 DEL 1990 DA PARTE DEL D.L. N. 146 DEL 2013 - SIGNIFICATO – CONSEGUENZE

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 10:47
STUPEFACENTI – MODIFICA DA PARTE DEL COMMA QUINTO DELL’ART. 73 DEL D.P.R. N. 309 DEL 1990 DA PARTE DEL D.L. N. 146 DEL 2013 - SIGNIFICATO – CONSEGUENZE La fattispecie prevista dal comma quinto dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, così come modificata dall’art. 2, comma 1, lett. a) del d.l. n. 146 del 2013, costituisce un’autonoma ipotesi di reato e non più una circostanza attenuante e di Administratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/stupefacenti-modifica-da-parte-del.html

COMPETENZA – COMPETENZA PER TERRITORIO – ECCEZIONE DI INCOMPETENZA – TERMINI PER LA RILEVABILITA’ DINANZI AL GUP DISTRETTUALE – INDICAZIONE

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 10:46
COMPETENZA – COMPETENZA PER TERRITORIO – ECCEZIONE DI INCOMPETENZA – TERMINI PER LA RILEVABILITA’ DINANZI AL GUP DISTRETTUALE – INDICAZIONE La regola generale secondo cui l’incompetenza per territorio va rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare si applica anche nell’ipotesi in cui l’udienza preliminare sia tenuta dinanzi al Gup distrettuale, ai Administratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/competenza-competenza-per-territorio.html

ESTRADIZIONE PER L’ESTERO – RICHIESTA CAUTELARE DEL MINISTRO – SOTTOSCRIZIONE DA PARTE DEL DIRETTORE GENERALE IN VIRTU’ DI DELEGA – LEGITTIMITA’

Sentenze Corte Costituzionale - Dom, 02/02/2014 - 10:46
ESTRADIZIONE PER L’ESTERO – RICHIESTA CAUTELARE DEL MINISTRO – SOTTOSCRIZIONE DA PARTE DEL DIRETTORE GENERALE IN VIRTU’ DI DELEGA – LEGITTIMITA’ Le richieste formulate in materia cautelare dal Ministro della Giustizia sono legittime ed efficaci anche se sottoscritte dal direttore generale del Ministero, in virtù di una delega, anche di carattere generale, conferitagli dal Ministro.   Testo Administratornoreply@blogger.comhttp://sentenze.blogspot.com/2014/02/estradizione-per-lestero-richiesta.html

Conto cointestato: il vincolo di solidarietà nei rapporti interni è regolato ex art. 1298 c.c., comma 2

Ex Parte Creditoris - Ven, 31/01/2014 - 16:42
Il cointestatario di un conto corrente bancario, anche se abilitato a compiere operazioni autonomamente, nei rapporti interni non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma depositata in misura eccedente la quota di sua spettanza. E’ questo il principio di diritto statuito dalla Cassazione civile, sezione seconda, con sentenza n.26991 pronunziata in data 02/12/2013 in materia di conto corrente cointestato. Nel caso di specie, essendo deceduto uno dei due cointestatari di un conto corrente bancario, uno degli eredi ab intestato del cointestatario defunto aveva citato in giudizio il cointestatario superstite per sentirlo condannare alla corresponsione, nei suoi confronti, di quanto ancora dovutole relativamente alla sua quota ereditaria.  Il cointestatario superstite, a sua volta, contestava la fondatezza della domanda attorea, sostenendo che quanto depositato sul conto corrente dovesse ritenersi per il 50% di sua appartenenza, ai sensi dell’art. 1298, comma 2, c.c. Soccombente tanto in primo grado quanto in appello, il cointestatario superstite ricorreva allora per cassazione, lamentando, in particolare, l’omessa o comunque carente e insufficiente motivazione circa la clausola, apposta al contratto di conto corrente bancario cointestato, che prevedeva la facoltà di disposizione disgiunta delle somme depositate, nonché la violazione dell’art. 1298, comma 2, c.c., a norma del quale la cointestazione di un conto corrente comporta la presunzione, relativa, di uguaglianza delle parti di ciascun correntista.  Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha ritenuto infondato il ricorso sul presupposto che l’art.1854 cc, secondo cui nel caso di conto corrente cointestato gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto, disciplina soltanto i rapporti tra i correntisti e la banca, laddove il vincolo di solidarietà dei cointestatari del conto, nei rapporti interni, è regolato dall’art.1298 cc, comma 2, secondo il quale le parti di ciascuno si presumono eguali, se non risulta diversamente. Alla luce di tale disposizione normativa, dunque, il concreditore, nei rapporti interni, non può disporre oltre il 50% delle somme risultanti da rapporti bancari solidali, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, e, ove risulti provato che il saldo attivo di un rapporto bancario cointestato discenda dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto dei cointestatari, si deve escludere che l’altro cointestatario, nei rapporti interni, possa avanzare diritti sul saldo medesimo. I giudici di legittimità, in motivazione, hanno altresì evidenziato come la clausola del contratto di conto corrente bancario cointestato a più persone, la quale abiliti le medesime a compiere operazioni autonomamente, rileva solo sul piano dei rapporti esterni tra cointestatari e banca, facendo sì che ciascun contitolare del conto, con effetti vincolanti anche per gli altri, possa pretendere dalla banca il pagamento per l’intero e impartire alla stessa ordini per l’intero; viceversa, nel rapporto interno tra i contitolari del conto corrente, il debito e il credito solidale si dividono in quote uguali, salvo che non risulti diversamente. In conclusione, dunque, i giudici di legittimità, sulla base di tale iter argomentativo, hanno rigettato il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese....

Fallimento: l’ipoteca legale iscritta a garanzia del pagamento delle imposte non è suscettibile di revocatoria

Ex Parte Creditoris - Ven, 31/01/2014 - 16:16
IL CONTESTO NORMATIVO Art 77. D.P.R. n. 602 del 1973 . Iscrizione di ipoteca.  1. Decorso inutilmente il termine di cui all'articolo 50, comma 1, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede (227).  2. Se l'importo complessivo del credito per cui si procede non supera il cinque per cento del valore dell'immobile da sottoporre ad espropriazione determinato a norma dell'articolo 79, il concessionario, prima di procedere all'esecuzione, deve iscrivere ipoteca. Decorsi sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto, il concessionario procede all'espropriazione. IL COMMENTO In tema di fallimento, l'art. 67, comma 1, n. 4 L. Fall. stabilisce la revocabilità delle sole ipoteche giudiziali e volontarie e l'ipoteca ex art. 77, D.P.R. n. 602 del 1973 non può essere compresa in alcuna delle due categorie sopra indicate, con la conseguenza che la stessa non può essere suscettibile di revoca in sede fallimentare. È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione Civile, sezione prima, con la sentenza n.325 del 09/01/2014. Nel caso di specie, l’agente di riscossione dei tributi ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il Tribunale aveva rigettato la sua opposizione allo stato passivo del fallimento di una società, con la quale aveva lamentato l’esclusione del privilegio ipotecario del proprio credito. Il Tribunale aveva motivato la sua decisione sulla base del fatto che l’ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati al pagamento dell'imposta, regolata dall’ art. 77, D.P.R. n. 602 del 1973, fosse stata iscritta nell’apposito registro successivamente alla dichiarazione di fallimento. In base a quanto stabilito dall’art 67, comma 1, n. 4 L. Fall , infatti, sono revocate, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, le ipoteche giudiziali o volontarie costituite nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti. Ebbene la Suprema Corte, seguendo un orientamento già ben consolidato, ha stabilito che l'iscrizione ipotecaria effettuata dalla società di riscossione non è assimilabile alle ipotesi di ipoteca legale o giudiziale, risiedendo sulla formalità dell'impulso di parte e su un provvedimento di natura amministrativa. Pertanto non è suscettibile di applicazione l'art. 67 L.F. in materia di revocazione delle ipoteche giudiziali e volontarie ed il credito fatto valere dall'agente della riscossione deve essere insinuato con collocazione di rango ipotecario. Per tali motivi il Giudice di legittimità ha accolto il ricorso e cassato con rinvio il decreto del Tribunale.   Si segnala che analogo principio era stato sancito dalla pronuncia della Corte di Cassazione Civile, sezione sesta con l’ordinanza n 19141 del 06-11-2012 già oggetto di commento su questa rivista....

LA LEGGE DI STABILITÀ 2014 ELIMINA L’ANATOCISMO BANCARIO

Ex Parte Creditoris - Mer, 29/01/2014 - 18:03
Dopo oltre un decennio di interventi giurisprudenziali, il legislatore, con la legge di stabilità per il 2014, cancella il fenomeno dell’anatocismo bancario, con una norma imprecisa e atecnica che pone problemi interpretativi e di attuazione pratica. La riforma è stata approvata con la legge 27.12.2013 n. 147, pubblicata nel Supplemento Ordinario n. 87 della Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27.12.2013, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (cd Legge di stabilità 2014) ed in vigore già dal 1.1.2014. In particolare, il comma 629 della legge 27.12.2013 n.147 (cd Legge di stabilità 2014) ha modificato il secondo comma dell’art.120 del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, come segue: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:  a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;  b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale». Viene, pertanto, riscritto l’art.120 del TUB, che attribuisce al CICR, Comitato Interministeriale Credito e Risparmio, il compito di determinare il criterio di produzione degli interessi nelle operazioni, di qualsiasi segno attivo o passivo, nel rapporto bancario, ma, nella nuova formulazione, introduce rilevanti limiti.  Mentre la lettera a) - stabilendo il criterio della formale parità tra banca e cliente - è una ripetizione della precedente formulazione in vigore, il divieto di anatocismo, previsto alla lettera b), è una novità assoluta che cancella la legittimità della capitalizzazione degli interessi nei rapporti bancari anche per il periodo successivo all’entrata in vigore della Delibera del CICR del 9.2.2000 in vigore dal 30.6.2000. La norma impedisce, pertanto, il calcolo degli interessi sugli interessi a far data dall’1.1.2014.  Nei rapporti bancari, infatti, gli interessi non produrranno più interessi, né quelli attivi né quelli passivi e, quindi, viene archiviata l’annosa questione dell’anatocismo, che è il fenomeno in virtù del quale gli interessi maturati nel periodo di riferimento, sommati al capitale, determinano la base su cui calcolare gli interessi per il periodo successivo. L’intervento legislativo in esame ha, quindi, recepito i principi già espressi dalla Cassazione a Sezione Unite del dicembre 2010 che ha ritenuto illegittima qualsiasi tipo di capitalizzazione per il periodo precedente all’entrata in vigore della innanzi indicata Delibera.  Dai lavori preparatori della legge in commento, emerge chiaramente la finalità dell’introduzione della nuova formulazione dell’art. 120 TUB che è quella di introdurre il divieto di anatocismo nell'ordinamento bancario e, cioè, impedire che gli interessi periodicamente capitalizzati producano interessi ulteriori, i quali, nelle successive operazioni di capitalizzazione, andranno calcolati esclusivamente sulla quota capitale. Pur a voler ritenere- dall’esame del dettato normativo e dei relativi lavori preparatori - chiara la finalità prefissa dalla legge, il contenuto della stessa presenta criticità sia sul piano interpretativo, per esservi evidenti contraddizioni,  che sul piano pratico, ai fini della concreta attuabilità della novità legislativa. Con il primo periodo della legge in esame, lettera a) dell’art. 120 nuova formulazione, è previsto che il conteggio degli interessi avvenga con la stessa periodicità, sia per gli interessi attivi che per quelli passivi. Alla lettera b), poi, si cristallizza il divieto che gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori, con la conseguenza che, una volta che l’interesse viene capitalizzato, il risultato, tuttavia, non potrà essere la base per il calcolo degli interessi per il periodo successivo poiché gli interessi maturati nel primo periodo sono infruttiferi e, cioè, non possono produrre interessi. La norma appare contraddittoria poiché nel momento in cui l’interesse viene capitalizzato, quelle che originariamente sono due poste distinte – interesse da un lato e capitale dall’altro – diventano un’unica posta, ossia capitale.  Per effetto della nuova disciplina, invece, una volta che la quota di interesse viene trasformata in capitale, non può produrre interessi. La quota parte di capitale - anch’essa fusa con gli interessi- è invece produttiva di interessi. In sostanza, il saldo del conto sarà composto dalla somma degli importi in conto capitale e dalla somma degli interessi maturati per singolo periodo di computo. Tanto anche per gli interessi attivi per il cliente, che non produrranno interessi nel periodo successivo a quello di maturazione.  La criticità in ordine alla effettiva attuazione, quindi, consiste nella difficoltà, con tale disciplina, di tenere distinti due fattori che prima si sono fusi e dopo dovranno poter essere separati per costituire due autonome basi di calcolo.  In conclusione, anche la riforma in commento presenta – come spesso accade - un dato letterale che lascia aperti numerosi problemi interpretativi, di cui gli operatori saranno chiamati a farsi carico nella concreta applicazione della legge, tenendo presente la ratio dell’innovativo intervento del legislatore, ma senza limitarsi al solo dato letterale che è la causa della contraddittorietà da risolvere....

ASSEGNO BANCARIO: data mancante, data rettificata e data posposta

Ex Parte Creditoris - Mer, 29/01/2014 - 16:01
L’assegno privo di data è nullo in ossequio al disposto dell’art. 1 del Regio Decreto 21 dicembre 1933, n. 1736. Non è nullo l'assegno con data posposta, in quanto, nel caso, esso deve essere considerato come venuto ad esistenza al momento in cui è stato consegnato al prenditore, che coincide con il momento della sostanziale emissione. Non è nullo l'assegno che contenga una data rettificata, a meno che la suddetta correzione sia rivelatrice della falsificazione del titolo.  Colui che contesta l’apocrifia della sottoscrizione non può limitarsi al mero disconoscimento della sottoscrizione, dovendo fornire una specifica prova della suddetta alterazione o falsificazione che sia rilevabile ictu oculi¸ tale da poter essere immediatamente percepita dal cassiere della banca trattaria; in mancanza non sussiste alcuna responsabilità della banca, essendo sufficiente che la sottoscrizione depositata sulla scheda firme (cd. Specimen) sia assimilabile prima facie a quella sull’assegno bancario. L'assegno bancario (chèque) contiene : 1) la denominazione di assegno bancario (chèque) inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui esso è redatto; 2) l'ordine incondizionato di pagare una somma determinata; 3) il nome di chi è designato a pagare (trattario); 4) l'indicazione del luogo di pagamento ; 5) l'indicazione della data e del luogo dove l'assegno bancario è emesso; 6) la sottoscrizione di colui che emette l'assegno bancario (traente). Con citazione ritualmente notificata, un correntista conveniva in giudizio sia la banca trattaria che quella negoziatrice, il notaio che aveva elevato il protesto ed il prenditore dell’assegno, per ottenere la loro condanna in solido ai risarcimento del danno da illegittimo protesto elevato ad un proprio assegno bancario emesso in favore della banca nell'ottobre 2008. In particolare, esponeva di aver emesso l'assegno, tratto sul proprio conto corrente esistente presso la banca convenuta, relativamente ad una relazione commerciale intercorsa, per cui aveva consegnato il detto titolo a garanzia. Contrariamente a quanto convenuto tra il correntista trattario ed il beneficiario, l'assegno era stato improvvisamente posto all'incasso previa asserita alterazione della data, e, a causa della momentanea assenza di provvista, era stato protestato, con procedura effettuata dai notaio su segnalazione della banca trattaria, nonostante la palese contraffazione della data di emissione. La domanda veniva rigettata dal Tribunale ed avverso tale decisione ha proposto appello il correntista sul presupposto che il protesto fosse illegittimo, in quanto l’assegno era stato alterato in modo vistoso, senza però fornire alcuna prova circa l'asserita apocrificità della firma di rettifica della data. La Corte ha rigettato il gravame con condanna al pagamento delle spese processuali. La Corte partenopea ha spiegato, che relativamente alla assegno bancario, solo la Data Mancante comporta la nullità del titolo, mentre in ipotesi di data posposta e data rettificata non vi sono effetti invalidanti.  In particolare, nell’ipotesi di data posposta, (cd. “assegno postdatato”) la stessa viene coincide con il momento della sostanziale emissione e quindi al momento in cui è stato consegnato al prenditore. Nell’ipotesi di data rettificata con una specifica firma l’assegno non è certamente nullo, a meno che la suddetta correzione sia rivelatrice della falsificazione del titolo. In relazione all'asserita apocrificità della rettifica della data, la Corte ha precisato che la diligenza del buon banchiere impone l'esame superficiale della regolarità del titolo, ma tale esame deve essere effettuato "a vista”, con la conseguenza che la responsabilità della banca va affermata solo se essa abbia accettato per l'incasso un assegno alterato o contraffatto e tale alterazione o contraffazione fosse rilevabile ictu oculi, non potendosi pretendere il possesso di particolari competenze in grafologia da parte del funzionario della banca. Orbene, dall’esame del titolo non emergeva alcuna alterazione che avrebbe potuto essere immediatamente percepita dal cassiere della banca trattaria, atteso che la sottoscrizione era assimilabile prima facie a quella del titolare del conto corrente, con quella firma depositata sullo specimen. In sostanza, al funzionario della banca può essere richiesto esclusivamente un esame circa la verosimiglianza della sottoscrizione, non potendosi pretendersi il possesso di particolari competenze in grafologia. In conclusione, l’assegno con data rettificata e/o posposta può essere legittimamente protestato, una volta effettuate le verifiche possibili con l’esercizio dell’ordinaria diligenza....

DISCIPLINARE NOTAIO: sanzione di euro 5.000 per il professionista che non paga immediatamente l’imposta

Ex Parte Creditoris - Mer, 29/01/2014 - 12:28
Il notaio che non paga immediatamente l’imposta prevista per un atto da lui stipulato perché il conto corrente non ha provvista non è per questo esente da sanzione disciplinare, specie se riceve dal cliente la somma occorrente a tale finalità. L’omesso controllo da parte del professionista della sua disponibilità bancaria mina il rapporto fiduciario tra quest’ultimo e l’amministrazione finanziaria.  È quanto disposto dalla Corte di Cassazione, seconda sezione civile con sentenza n.11709 del 21/01/2014  che ha riconosciuto il comportamento negligente del notaio che non aveva immediatamente pagato l’imposta per sue provviste bancarie insufficienti, benché avesse segnalato il mancato addebito all’Agenzia delle Entrate, provvedendo poi al pagamento entro 15 giorni.  Il caso è relativo ad un procedimento disciplinare a carico di un notaio per non aver provveduto all’addebito relativamente alle imposte autoliquidate per un atto a suo rogito a seguito di registrazione telematica ove la Corte d’appello di Venezia irrogò la sanzione pecuniaria di 5000 euro.  Il notaio ha impugnato la sentenza dinanzi alla Suprema Corte contestando l’azione disciplinare sul presupposto che era stata iniziata ancor prima della scadenza del termine per il tempestivo pagamento dell'imposta. In particolare, il sistema di autoliquidazione e di pagamento telematico, in cui il notaio è unico responsabile dell'imposta a titolo principale, è articolato in due fasi: nella prima egli deve liquidare l'imposta mentre nella seconda deve provvedere al prelievo. Per tali motivi il notaio, tra l’altro, non poteva ancora essere definito inadempiente in quanto non era ancora scaduto il termine per il pagamento.  Tuttavia la Corte ha evidenziato che in tema di illeciti disciplinari previsti a carico di chi esercita la professione notarile, l'art. 147, lett. a), della legge 16 febbraio 1913, n. 89, prevede una fattispecie disciplinare a condotta libera, all'interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l'interesse tutelato, il che si verifica ogni volta che si pone in essere una violazione dei principi di deontologia enucleabili dal comune sentire in un determinato momento storico, dovendosi escludere che il verificarsi di un'eco negativo nella comunità integri un elemento costitutivo di tale illecito e che, tanto meno, occorra la prova della sua esistenza.  Sul punto la Corte ha dato continuità ad una precedente decisione (cfr. sentenza n.21203 del 2011) evidenziando che il notaio è sempre responsabile del mancato immediato pagamento dell’imposta, rimanendo irrilevante che tale circostanza abbia avuto rilievo esterna e che lo stesso professionista abbia tempestivamente avvisato l’agenzia delle entrate del pagamento insoluto. La sanzione disciplinare di 5000,00 è stata poi motivata sulla circostanza che il comportamento del professionista è stato negligente non potendo non conoscere l’importo delle disponibilità bancarie sul conto corrente a lui intestato, responsabilità aggravata dalla circostanza che il cliente aveva peraltro corrisposto le somme per il pagamento dell’imposta.  In conclusione il notaio deve immediatamente provvedere al pagamento dell’imposta, atteso che, in mancanza, la sua condotta è da ritenersi negligente, anche se abbia comunicato il ritardo dell’operazione e non siano decorsi i 15 giorni per l’adempimento. La mera circostanza della mancanza della disponibilità di somme sul conto corrente è stata, pertanto, giudicata un illecito disciplinare che non ammette alcuna forma di giustificazione....

AMMISSIONE AL PASSIVO: l’integrazione del rango è ammissibile fino a trenta giorni prima dell’udienza di verifica

Ex Parte Creditoris - Mar, 28/01/2014 - 18:06
Si ringrazia l’avv. Roberto Guarnotta per la segnalazione dell’interessante decreto.   In tema di accertamento del passivo, l’integrazione della domanda di ammissione di un credito come privilegiato, a fronte dell’iniziale domanda presentata senza specifica richiesta, è ammissibile solo se presentata entro il termine di trenta giorni prima dell’udienza di verifica, ovvero, nel caso di insinuazione tardiva, se presentata prima che venga fissata l’udienza per l’esame delle tardive. In tal caso, infatti, sulla domanda, e sulla successiva integrazione, non si è instaurato alcun contraddittorio ragion per cui la domanda ben può essere riqualificata, come domanda nuova incompatibile con quella originariamente presentata e non delibata. È quanto stabilito dal Tribunale di Marsala, Giudice Estenore dott. Vaccaro, Presidente dott. Genco con decreto n.1635 del 04/12/2013, sul ricorso ex art. 98 LF promosso da una banca, ammessa al passivo di un fallimento in via chirografaria. Nel caso di specie era accaduto che la banca creditrice aveva proposto domanda tardiva di ammissione al passivo senza l’espressa indicazione richiesta all’art. 93 comma terzo LF n.4; successivamente, ma prima che venisse fissata l’udienza di verifica delle tardive, la parte procedeva ad effettuare delle integrazioni chiedendo l’espressa collocazione del proprio credito in via privilegiata. Con il progetto di stato passivo reso esecutivo il credito veniva ammesso in via chirografaria sul presupposto che non fosse ammissibile l’integrazione della domanda atteso che con la detta modifica/integrazione si avrebbe un’ipotesi di mutatio libelli preclusa dal sopracitato art. 93 LF. Avverso tale decisione il creditore proponeva opposizione ex art.98 LF che veniva accolta non ritenendo fondate le eccezioni della curatela atteso che la modifica della domandava va intesa quale riqualificazione e dunque come domanda nuova.  Ed invero, come di recente espresso dalla Cassazione (Sent. 4306/2012), l’integrazione della domanda di insinuazione al passivo “in via privilegiata” a fronte delle iniziale domanda presentata senza specifica indicazione del privilegio, è inammissibile se presentata oltre il termine perentorio di trenta giorni prima dell’udienza di verifica, ovvero nel caso in cui la detta integrazione e/o modifica sia presentata quando il credito sia stato già ammesso in chirografo, atteso che in tali casi si avrebbe una indubbia mutatio libelli. Sul punto ha ben spiegato l’adito collegio che l’accertamento della qualità del credito è strettamente connesso all’accertamento dell’esistenza o meno dello stesso sì da costituirne un unicum inscindibile dal momento che la verifica del passivo ha ad oggetto non già l’accertamento del credito fine a se stesso ma l’accertamento del diritto dei creditori di partecipare al riparto con la misura e con il grado di tale partecipazione. Ciò implica che il credito sia accertato contestualmente con la sua qualificazione. Nel caso di specie al momento del deposito dell’integrazione non era maturata alcuna preclusione stante l’assenza del provvedimento del GD di fissazione dell’udienza di verifica delle tardive ragione che ha indotto il Collegio ad ammettere la domanda di insinuazione tardiva quale domanda in via privilegiata, in quanto domanda nuova, incompatibile con quelle originariamente presentata e non delibata. Il Tribunale, in parziale riforma del decreto opposto, ha così ammesso al passivo del fallimento per il diritto di credito privilegiato fatto valere tardivamente.   ...

USURA BANCARIA: nel tasso effettivo va inclusa la commissione di massimo scoperto

Ex Parte Creditoris - Mar, 28/01/2014 - 16:48
Si ringrazia per la segnalazione  della sentenza. la Dott.ssa. Gioia Rosania  Essendo la commissione di massimo scoperto un “onere” per il correntista, essa va necessariamente inglobata nel calcolo del TEG. Ai fini del calcolo degli interessi non dovuti, perché usurari, si deve tener conto della valuta effettiva, vale a dire della data reale in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme, e non della valuta bancaria, facendo corretta applicazione dell’art.1282, I comma, cc. In questi termini si è espresso il Tribunale civile di Vicenza, con la sentenza n.454 del 25 marzo 2013, decidendo sulla domanda proposta da un correntista nei confronti della banca, al fine di ottenere pronuncia di accertamento della nullità ex art. 1815, II comma, cc della clausola contrattuale relativa agli interessi su un’operazione di finanziamento, siccome usurari, con la conseguente declaratoria di non debenza delle somme residue a tale titolo. Nel dettare il principio di diritto sopra riportato, il Giudice Unico, dott. Luigi Giglio, ha dato seguito all’orientamento ormai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, in particolare a quello che ha trovato compiuta teorizzazione con la sentenza n.262/2010, in cui la Suprema Corte ha affermato che il calcolo del TEG va effettuato tenuto conto degli interessi, delle spese, delle commissioni, ivi compresa quella di massimo scoperto - in quanto onere che il cliente sopporta in connessione con il suo uso del credito. Al centro della vicenda processuale di specie si pone la consulenza contabile disposta - e pedissequamente seguita - dal Tribunale vicentino, a fine di valutare l’usurarietà del tasso effettivamente praticato dalla banca nel corso del rapporto. Nel valutare la correttezza della relazione peritale, il Giudice ha sottolineato come, tra le tre modalità di calcolo del TEG prospettate dal consulente - quella inclusiva di tutte le spese tranne la c.m.s., quella comprendente anche quest’ultima e, infine, quella comprensiva di tutte le spese, della c.m.s. e basata sulla c.d. “rettifica” delle valute - dovesse prendersi in considerazione l’ultima, determinante, nel caso di specie il superamento del tasso soglia antiusura in tutti (tranne due) i trimestri oggetto di analisi. Il Tribunale ha conseguentemente accolto la domanda attorea, dichiarando nulla la clausola relativa all’obbligo di corresponsione degli interessi ed accertando il credito del cliente alla restituzione degli stessi, sulla base del calcolo effettuato dal ctu. Al contempo, tuttavia, ha parzialmente accolto la domanda riconvenzionale proposta dall’istituto di credito e volta alla condanna dell’attore al pagamento del saldo di chiusura del rapporto di conto corrente. Ne è risultata la condanna del correntista al pagamento della minor somma ottenuta detraendo dal saldo finale (negativo) l’intero IMPORTO DOVUTO a titolo di interessi, secondo quanto statuito dall’art.1815, II comma cc. Concludendo, non può non notarsi, su tale ultimo punto, che la sentenza in commento si presenta problematica sotto l’aspetto della probabile discordanza tra la regula juris applicata e le risultanze fattuali messe in luce dallo stesso Giudice. Infatti, nel fare applicazione dell’articolo 1815, comma II, a norma del quale “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” si è avuto riguardo non tanto al momento della “pattuizione” degli interessi (e degli oneri in generale), ma al momento della maturazione di questi ultimi, se è vero che la relazione peritale ha verificato che fossero risultati in usura ventuno trimestri su ventitre. Tale ultimo criterio di valutazione sembrerebbe attagliarsi non tanto all’usura c.d.”originaria”, quanto alla fattispecie dell’usura “sopravvenuta”, concetto elaborato in relazione a quei rapporti bancari di durata in cui gli oneri a carico del cliente siano suscettibili di variazione e rispetto alla quale la giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere che non ne consegua la non debenza tout court degli interessi, bensì la mera riduzione di questi ultimi al limite del “tasso soglia”. La sentenza è pertanto da censurare in quanto la fattispecie esaminata era relativa all’USURA SOPRAVVENUTA, per cui il Tribunale avrebbe dovuto eliminare solo ed esclusivamente l’importo che superava il limite del tasso soglia e giammai avrebbe dovuto considerare come non dovuti gli interi importi degli interessi, dovendo procedere alla automatica sostituzione nei limiti del tasso soglia. Sul punto si segnalano in senso contrario le seguenti decisioni: USURA BANCARIA: ALL'USURA SOPRAVVENUTA NON SI APPLICA L'ART. 1815, SECONDO COMMA, C.C. NEL CONTRATTO DI MUTUO SONO DOVUTI GLI INTERESSI SOLO PER LA PARTE CHE NON ECCEDE IL TASSO SOGLIA ANTI USURA  Sentenza | Tribunale di Taranto, Dott. Martino Casavola | 25-06-2013 | n.1359 |  USURA BANCARIA - USURA SOPRAVVENUTA: inapplicabilità dell’art.1815 secondo comma cc Solo in ipotesi di USURA ORIGINARIA gli interessi contra legem non sono dovuti  Sentenza | Tribunale di Napoli, Giudice Unico dott. Ettore Pastore Alinante | 29-06-2012 | n.7763 |  USURA BANCARIA - USURA SOPRAVVENUTA - SOSTITUZIONE AUTOMATICA - LIMITI TASSO SOGLIA l’art.1 legge 108/96 ha previsto la fissazione di tassi soglia al di sopra dei quali gli interessi corrispettivi e moratori vanno considerati usurari e automaticamente sostituiti ex art. 1419 e 1319 cc  Sentenza | Cassazione civile, sezione prima | 11-01-2013 | n.602 | In conclusione pur nell’oggettiva incertezza ancora sussistente in dottrina e giurisprudenza, derivante da una normativa spesso poco chiara - e sempre in fieri - il senso della pronuncia del Giudice vicentino è certamente da rimeditare, tenuto conto dei principi e delle ricostruzioni della normativa in materia di usura bancaria, di cui su questa rivista si è dato ampiamente conto in più occasioni (si veda, da ultimo, USURA BANCARIA: ECCO LE REGOLE )...

USURA BANCARIA: se il tasso moratorio è sostitutivo non va sommato al tasso corrispettivo

Ex Parte Creditoris - Mar, 28/01/2014 - 15:34
Nel raffronto con il tasso soglia antiusura, la sommatoria del tasso contrattuale degli interessi corrispettivi e di quello moratorio va esclusa, ogni qualvolta risulti chiaro dalle prescrizioni contrattuali la sostitutività e non additività dei due tipi di interesse. Il Collegio napoletano dell’Arbitro Bancario Finanziario, con la decisione n.21/14, resa all’esito della seduta del 26-11-2013, dettando il principio di diritto appena richiamato, è tornato a pronunciarsi sul tema della natura dei tassi d’interesse applicati ad un contratto di mutuo ed, in particolare, sul rapporto tra il tasso d’interesse moratorio ed quello corrispettivo, ai fini della valutazione di usurarietà del contratto bancario, pronunciandosi in maniera del tutto conforme ai propri precedenti ed, ancora una volta, facendo applicazione “critica” dell’orientamento dettato dalla Corte di Cassazione con la discussa pronuncia n.350 del 9 gennaio 2013. In particolare, nella classica controversia incardinata dal mutuatario al fine di ottenere la declaratoria di nullità della clausola contrattuale relativa agli interessi, il ricorrente lamentava l’applicazione di un tasso di mora al 9,012% che sommato al tasso nominale praticato, pari al 2,817%, dava luogo allo sforamento del tasso soglia fissato nel periodo di riferimento. A proprio sostegno richiamava la massima fornita dalla Corte di legittimità nella sentenza già citata (ed oggetto di approfondito esame su questa rivista;cfr. USURA BANCARIA: ECCO LE RAGIONI PER CUI LA CORTE HA ERRATO NELL’INCLUDERE IL TASSO MORATORIO NEL CALCOLO DELL’USURA  ), secondo la quale “ai fini dell’applicazione dell’art.644 cp e dell’art.1815 cc, comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”. Nelle proprie controdeduzioni, l’intermediario, soffermatosi preliminarmente sull’eccezione di nullità dell’atto introduttivo per indeterminatezza e genericità, sottolineava, nel merito, che la sentenza richiamata da parte ricorrente dovesse essere correttamente interpretata, non nel senso che gli interessi moratori andassero sommati a quelli corrispettivi nel calcolo del TEG, bensì considerando separatamente le voci di costo e verificando, per ciascuna di esse che non si determinasse il superamento del tasso soglia antiusura. Ciò s’imponeva da una lettura critica del principio statuito dagli ermellini, valutando l’intrinseca diversa natura dei due tipi di interesse, corrispondenti ciascuno di essi a funzioni e criteri diversi e disomogenei, così da non consentirne una valutazione cumulativa. Nell’argomentare sulla diversa natura dell’interesse moratorio, rispetto a quello corrispettivo, l’Istituto di credito richiamava il principio secondo il quale “nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento”.  Proprio dalla disciplina in materia di capitalizzazione emergerebbe, cioè, la differente funzione del tasso moratorio, volto al risarcimento del danno causato dal ritardato adempimento, con applicazione, cioè, soltanto eventuale, vieppiù che la Banca d’Italia, nelle istruzioni del 3 luglio 2013 già chiariva l’esclusione del tasso di mora dalle voci di costo rilevanti ai fini del TAEG. E d’altronde, proseguiva nelle proprie difese l’intermediario, la verifica dell’usurarietà del tasso di mora – secondo quanto specificato dalle già citate note della Banca d’Italia e accennato nei Decreti Ministeriali trimestrali di rilevazione del TEGM – avrebbe dovuto effettuarsi con riferimento al tasso soglia maggiorato di 2,1 punti percentuali. L’Arbitro Bancario Finanziario, con una succinta motivazione, aderendo alle argomentazioni della resistente, ha fissato preliminarmente il thema decidendum, basato, nell’incertezza di quanto dedotto dal ricorrente, sul presupposto “che, nel quadro delle pattuizioni contrattuali, fosse prevista l’applicazione del tasso d’interesse attraverso la sommatoria del tasso contrattuale degli interessi corrispettivi e di quello moratorio, così eccedendo il limite fissato imperativamente dal tasso soglia anti-usura”, per poi concludere che tale asserzione fosse in realtà palesemente smentita dalle risultanze documentali ed, in particolare, dalle prescrizioni contrattuali, dalle quali emergeva chiaramente la natura sostitutiva ed eventuale del tasso di mora. In tal modo, il Collegio napoletano ha nuovamente chiarito un principio già seguito nella decisione n.5877 del 20.11.2013) e ancor meglio esplicitato nella pronuncia adottata pochi giorni dopo sul medesimo argomento (cfr. USURA BANCARIA : GLI INTERESSI MORATORI NON VANNO SOMMATI A QUELLI CORRISPETTIVI  ), finendo ancora per ridiscutere la massima dettata dalla Giurisprudenza di legittimità con la sentenza n.350, che costituisce, allo stato, punto di riferimento (seppur non insuperabile) per i Giudici di merito....

FIDEIUSSIONE OMNIBUS: obbligo del pagamento immediato senza condizioni

Ex Parte Creditoris - Mar, 28/01/2014 - 15:11
Il fideiussore, obbligatosi al pagamento della somma garantita “a prima richiesta” e “senza eccezioni”, non può far valere in giudizio vizi inerenti al rapporto principale, ivi compresa l’invalidità del contratto da cui tale rapporto deriva, salvo che nell’ipotesi dell’esecuzione fraudolenta o abusiva, a fronte della quale può sempre opporre l’“exceptio doli”. Tale configurazione della fideiussione omnibus esclude che il garante, a fronte della richiesta di pagamento della Banca, possa opporre la sussistenza in capo al debitore principale di un saldo positivo di conto corrente, in quanto il regolamento negoziale non prevede alcun beneficio di escussione. Affermando tali principi, la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n.62, pubblicata in data 08.01.2014, ha rigettato l’impugnazione proposta da un fideiussore avverso la sentenza con cui il Tribunale di Napoli aveva respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo dallo stesso promossa in primo grado. La vicenda trae origine dal provvedimento di ingiunzione ottenuto, provvisoriamente esecutivo, da una Banca nei confronti di una società debitrice, sul presupposto di esser già creditrice in virtù di altro decreto ingiuntivo, successivamente al quale erano tornate insolute altre 23 cambiali, a suo tempo passate allo sconto, regolato in conto corrente, determinanti un’ulteriore esposizione debitoria a carico della società e dei garanti. Avverso tale decreto ingiuntivo, uno dei garanti aveva proposto opposizione, deducendo che il conto corrente della società debitrice presentava un saldo positivo, che la Banca tratteneva presso la propria sede i titoli risultati insoluti, pur avendo ottenuto decreto ingiuntivo ed eccependo, inoltre, la scadenza dell’obbligazione di garanzia. Risultato soccombente in sede di opposizione, il fideiussore ha proposto appello, ripresentando le medesime doglianze e chiedendo disporsi una nuova consulenza tecnica d’ufficio. Da parte sua, l’Istituto di credito ha controdedotto sul punto che il fideiussore si era obbligato a rimborsare alla banca la somma garantita “a semplice richiesta”, senza poter opporre alcuna eccezione, e ciò anche in ipotesi di nullità o annullabilità delle obbligazioni garantite. Il Collegio ha subito argomentato in ordine alla fondatezza di tale controdeduzione, atteso che, dall’analisi delle clausole contrattuali emergeva la totale autonomia del rapporto di garanzia rispetto a quello principale e precisando l’impossibilità per il garante di far valere le eccezioni inerenti a tale ultimo rapporto, salvi i casi di esecuzione fraudolenta o abusiva, a fronte della quale avrebbe comunque potuto opporre l’exceptio doli. La Corte ha vieppiù precisato come l’esame delle questioni di merito proposte dal fideiussore risultasse addirittura precluso, pur argomentando, poi sull’infondatezza delle censure avanzate dalla parte appellante. In particolare, il Giudice del gravame ha escluso la sussistenza di qualsivoglia beneficio di escussione in capo al garante, che aveva genericamente dedotto la presenza di un saldo positivo nel rapporto di conto corrente di cui era titolare la debitrice principale, perché tanto era ricavabile dall’esame del regolamento negoziale. Al riguardo, infatti, viene in rilievo l’applicazione dell’art.1944, secondo comma, cc, a norma del quale “le parti possono però convenire che il fideiussore non sia tenuto a pagare prima dell’escussione del debitore principale ”. Quanto alla mancata restituzione dei titoli cambiari da parte dell’istituto bancario, all’esito dell’ottenimento del decreto ingiuntivo e, dunque, relativamente al rischio di duplicazione dei titoli esecutivi per la medesima obbligazione, la Corte partenopea ha affermato che l’onere dell’offerta di restituzione dei titoli, previsto dall’art.66, comma 3, R.D. 14 dicembre 1933 n.1933, n.1669 per il creditore che intenda esercitare l’azione causale, non sussiste in capo alla banca che intenda esercitare, nei confronti del fideiussore dello scontatario, l’azione di restituzione della somma anticipata in virtù di contratto di sconto. Ed infatti, tale onere, imposto al portatore della cambiale, ha la finalità di impedire che il debitore possa essere esposto al rischio di una successiva richiesta di pagamento da parte di un terzo a mezzo di azione cambiaria e, per altro verso, di consentire al medesimo debitore di esercitare le azioni cartolari che possono spettargli. In sostanza, il fideiussore non può invocare l’adempimento di tale onere, proprio in quanto egli non è debitore “ex causa” (sia pure in senso lato, nel senso che non è neppure obbligato cambiario) e, pertanto, non è esposto al pericolo di un secondo pagamento in forza dell’azione cambiaria. Per tali ragioni, superate le altre – meno rilevanti ai fini della presente analisi – doglianze del fideiussore, la Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione, confermando la sentenza di primo grado e, pertanto, sancendo l’obbligo per il fideiussore di pagare la somma ingiunta dalla Banca, senza la possibilità di eccepire qualsivoglia vizio inerente al rapporto principale. Con tale pronuncia, il Collegio napoletano ha dato seguito all’orientamento affermato in seno alla giurisprudenza di merito del Tribunale di Napoli, già oggetto di ampio approfondimento su questa rivista (ex multis, Sentenza del Tribunale di Napoli, Sezione Civile terza, Giudice dott. Massimiliano Sacchi 14-03-2013 n.3583)....

LIQUIDAZIONE DELL’ATTIVO: il Giudice Delegato può sospendere la vendita se il prezzo è inferiore a quello giusto

Ex Parte Creditoris - Mar, 28/01/2014 - 14:40
“In tema di liquidazione dell’attivo fallimentare, al giudice delegato è attribuito, ai sensi dell’art. 108, comma 3, l.fall, (nel testo “ratione temporis ”applicabile), il potere discrezionale di disporre la sospensione della vendita anche ad aggiudicazione avvenuta, purché sia esplicitato un coerente criterio idoneo a sorreggere l’esercizio di tale potere, con riguardo alle finalità cui la sua attribuzione risponde - la realizzazione del massimo valore pecuniario in vista del massimo risultato utile per la massa dei creditori - risolvendosi il suo difetto in una violazione di legge; il giudizio deve pertanto riguardare la inadeguatezza del prezzo offerto in sede di aggiudicazione rispetto a quello ritenuto giusto, per essere il primo notevolmente inferiore al secondo, ciò implicando non una mera comparazione tra prezzo offerto e ipotetico astratto valore del bene (nella specie, desunto solo da una nuova perizia), bensì la constatata esistenza di elementi idonei a far seriamente ritenere il prezzo di aggiudicazione notevolmente inferiore a quello giusto (quali nuove offerte di acquisto, indebite interferenze, modalità dì attuazione della vendita precedente)” È questo il principio di diritto confermato dal Tribunale di Ivrea nel decreto emesso in data 11 ottobre 2012, in materia di liquidazione dell’attivo fallimentare. Nel caso di specie, una società proponeva reclamo avverso il decreto con cui il Giudice Delegato rigettava l’istanza volta ad impedire il perfezionamento della vendita del compendio aziendale della società fallita. Le censure mosse dalla reclamante si fondavano sul presupposto che il prezzo offerto ai fini della liquidazione dell’attivo fosse notevolmente inferiore al valore del compendio immobiliare, come determinato dalle perizie di stima espletate nell’ambito della procedura fallimentare.  Inoltre la società in questione lamentava che il curatore avesse individuato il prezzo a base d’asta, non sulla base del valore commerciale come determinato dai CTU, bensì sulla base dell’offerta più alta tra quelle presentate. Tali doglianze, già disattese dal Giudice Delegato, non sono state accolte dal Collegio, che ha rilevato la libertà di forma delle vendite e la corretta applicazione dei meccanismi di “contrappeso” (pubblicità, obbligo di motivazione) che garantiscono tale principio di libertà. Sulla base di quanto affermato di recente dalla Suprema Corte, il Collegio ha accolto la tesi del Fallimento, secondo la quale l’equazione “giusto prezzo = perizia di stima” è fallace nel momento in cui le condizioni del mercato siano tali da condurre ad uno spostamento tra l’astratto valore del bene e il prezzo concretamente determinato dal confronto tra domanda e offerta. La perizia di stima non è dunque decisiva al fine della determinazione del “giusto prezzo” ed il Giudice Delegato ha il potere discrezionale di disporre la sospensione della vendita anche ad aggiudicazione avvenuta, sulla scorta, si intende, di un criterio idoneo a sorreggere l’esercizio di tale potere....

BENEFICIUM EXCUSSIONIS: opera esclusivamente in sede esecutiva

Ex Parte Creditoris - Lun, 27/01/2014 - 17:18
“Il beneficio d'escussione previsto dall'art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce allo stesso creditore d'agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest'ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito". E’ questo il principio di diritto statuito dalla Cassazione civile, sezione sesta, con ordinanza n.49 pronunziata in data 03/01/2014 in materia di beneficium excussionis previsto e disciplinato dall’art.2304 cc. Ebbene precisa la Corte, uniformandosi alle precedenti pronunce, il beneficio della preventiva escussione opera esclusivamente in sede esecutiva, precisando inoltre come la cartella di pagamento notificata al socio di una snc (quale coobbligato solidale), è l’atto conclusivo dell’iter che conduce alla formazione del titolo esecutivo, da parificare al precetto, che preannuncia l’azione esecutiva. Avverso tale documento non si applica l’art.2304 cc il quale, come detto, disciplina il beneficium excussionis relativamente alla sola fase esecutiva. Pertanto il creditore può agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo da azionare una volta che il patrimonio sociale risulti incampiente.  Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso proposto dall’ente di riscossione atteso che la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente qualificato la cartella di pagamento quale atto esecutivo, ribadendo così il principio secondo il quale il beneficio d’escussione previsto ha efficacia limitatamene alla fase esecutiva, ma non impedisce al creditore di agire in sede di cognizione per munirsi di un titolo esecutivo nei confronti del socio....

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