Aggregatore di feed

CENTRALE RISCHI: segnalazione a sofferenza legittima, anche per credito di modesto importo

Ex Parte Creditoris - Mer, 02/04/2014 - 14:52
La stato di sofferenza è il risultato di una valutazione della situazione finanziaria complessiva di una società, per cui la sua segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia è legittima nel caso in cui questa si trovi in uno stato di profonda crisi di liquidità, anche se l’intermediario finanziario vanti nei confronti della società un solo credito di modesto importo. È questo il principio espresso dal Tribunale di Bologna, dott.ssa Alessandra Arceri, con ordinanza emessa in data 11 marzo 2014 che ha rigettato la domanda cautelare di ordine di cancellazione o sospensione della segnalazione a sofferenza del nominativo in Centrale Rischi presso la Banca d’Italia. La società ricorrente, infatti  aveva lamentato l’insussistenza dei presupposti per effettuare la detta segnalazione per non essere presenti protesti, esecuzioni o istanze di fallimento che avrebbero fatto presagire l’insolvenza fallimentare oltre ad essere l’inadempimento di un solo credito, peraltro, di un modesto importo specie se confrontato al fatturato complessivo. Il Giudice, pur rilevando le circostanze dedotte dalla ricorrente a supporto della riconoscibilità della tutela cautelare, ha ritenuto la segnalazione a sofferenza da parte dell’Istituto di credito legittima poiché compiuta all’esito di una verifica dei rilevamenti finanziari e dati di bilancio di tenore inequivocabile, che davano conto della indisponibilità di liquidità immediata in considerazione di uno sbilanciato indebitamento, conseguenti al mancato incasso dei propri crediti di contributi pubblici. Il Tribunale, perciò, ritenendo carente nella fattispecie il presupposto del fumus boni juris, ha rigettato la domanda cautelare condannato la soccombente alle spese del giudizio. La decisione in commento evidenzia  un mutamento della giurisprudenza in ordine agli aspetti  da ricercare ai fini della valutazione sulla legittimità di una segnalazioni in Centrale Rischi, individuando nella crisi di liquidità un fattore di rischio determinante  ai fini della sussistenza o meno del fumus per ordinarne la cancellazione. Per ulteriori approfondimenti sulle segnalazioni alla Centrale Rischi si riporta ai seguenti articoli: CENTRALE RISCHI: è competente il Tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati. Ordinanza | Tribunale La Spezia, dott. Ettore Di Roberto | 29-01-2014    CENTRALE RISCHI: anche se illegittima, non produce alcun danno non patrimoniale per il fideiussore È escluso il danno all'immagine e all'onore per il garante in considerazione del limitato accesso. Sentenza | Tribunale di Napoli, articolazione territoriale di Casoria - dott. Giuliano Tartaglione | 31-01-2014 | n.1549 Segnalazioni a sofferenza – ammissibilità rimedio cautelare ex art.700 cpc Il provvedimento di cui all’art. 10 comma 6 d.lgs 150/2011 è solo eventuale e deve essere adottato in caso di inerzia dell’intermediario. Ordinanza | Tribunale di Verona, Giudice unico dott. Massimo Vaccari | 18-03-2013  SEGNALAZIONE IN CAI: inammissibilità del ricorso ex art.700 cpc L’illegittima segnalazione va tutelata con il rimedio cautelare tipico ex artt.10 e 5 D.Lgs. 150/2011. Sentenza | Tribunale di Verona, Giudice Unico dott. Andrea Mirenda | 14-01-2013 SEGNALAZIONI ALLA CENTRALE DEI RISCHI E QUESTIONI DI RESPONSABILITA’ CIVILE Responsabilità delle Banche. Articolo giuridico | 24-04-2013 SEGNALAZIONE CENTRALE RISCHI: si impone alla banca una valutazione prognostica sulle ragioni dell’impedimento del cliente La diffida di pagamento e l’emissione di un decreto ingiuntivo non sono sufficienti a comprovare l’insolvenza del soggetto. Ordinanza | Tribunale di Marsala, sezione feriale dott. Pasquale Russolillo | 05-08-2013...

CENTRALE RISCHI: competenza inderogabile del Foro del consumatore

Ex Parte Creditoris - Mer, 02/04/2014 - 13:51
Quando la tutela contro il trattamento dei dati personali venga invocata nell'ambito di un rapporto di consumo, competente è il giudice del luogo di residenza o di domicilio elettivo del consumatore come previsto dal d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, lett. u), in quanto la competenza del consumatore è inderogabile e prevale anche su quella del titolare del trattamento dati, prevista dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 152 e ora dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10. Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con ordinanza n. 5705, emessa in data 12/02/2014. Nel caso di specie un soggetto era stato segnalato alle Centrali Rischi da una società finanziaria, per il mancato versamento di una somma a saldo di un contratto di mutuo, che lo stesso aveva contestato come indebita. Vistosi negati ulteriori finanziamenti da altri istituti di credito a causa della segnalazione in black list della centrale rischi di varie società, il soggetto segnalato proponeva ricorso innanzi il Tribunale di Palermo, domandando che venisse dichiarato non dovuto il credito vantato, che fosse dichiarata illegittima la sua iscrizione nelle Centrali rischi delle predette società e che i convenuti fossero condannati in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Il Tribunale, pur condividendo la giurisprudenza di legittimità che aveva già avuto modo di affermare la prevalenza della tutela del consumatore sulla disciplina del codice in materia di protezione dei dati personali, aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale rimettendo la causa dinanzi ai giudici considerati competenti alla luce dell’art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003, avendo ritenuto di escludere che il finanziamento fosse stato concesso nell’ambito di un rapporto di consumo per essere stato contratto in veste di avvocato. Avverso tale pronuncia veniva proposto regolamento di competenza dinanzi alla Corte di Cassazione dalla parte ricorrente. Il Supremo Collegio, quindi, dopo aver rilevato la correttezza della ricostruzione da parte del Giudice del merito, secondo cui, quando la tutela contro i trattamenti personali venga invocata nell’ambito di un rapporto di consumo, il Foro del consumatore prevale su quello sulla privacy, ha affermato la competenza del giudice del luogo di residenza o di domicilio elettivo del consumatore, che è una competenza esclusiva che prevale su ogni altra e, quindi, anche su quella  di cui al d.lgs. n. 196 del 2003 che deroga alle norme codicistiche, sul rilievo che il finanziamento da cui la segnalazione contestata andava inquadrato nell’ambito di un rapporto di consumo. Gli ermellini hanno, infatti, precisato che la normativa sulla tutela del consumatore è prevalente, non solo perché successiva, ratione temporis, a quella sul trattamento dei dati personali, ma anche perché, alla luce di un contemperamento di interessi, la tutela del consumatore ha un’importanza primaria nell’ordinamento giuridico italiano ed europeo. Infatti, anche se non richiamata dalla Costituzione italiana, a partire dagli anni ’80, quest’ultima è stato oggetto di un’attenta legislazione, nazionale e comunitaria, che ha posto tale argomento ad un livello tale da essere paragonabile a quello di un diritto costituzionale. La tutela del consumatore, in via di principio applicabile alla persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, rinviene le ragioni di fondo della protezione accordata in una presunzione di inesperienza e soprattutto debolezza contrattuale dello stesso nei confronti della controparte, che, in quanto professionista che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale è ragionevolmente molto meglio attrezzata a gestire tutte le fasi del contratto, per cui, a maggior ragione, non può non essere prevista una tutela anche processuale, attraverso la previsione di un foro comodo per l'utente. La diversa decisione del giudice di legittimità, quindi, è stata determinata dalla qualificazione del rapporto come di consumo e non tra professionisti da cui discende la applicazione della relativa tutela. Ed, infatti, i Giudice del Palazzaccio hanno rilevato che dagli atti altro non è emerso se non che la richiesta di concessione del finanziamento era stata avanzata da un soggetto presentatosi nella qualità di professionista in quanto avvocato per l'acquisto di un'autovettura e, pertanto, era da escludere che l'autovettura fosse stata inequivocabilmente scelta per essere destinata a un uso esclusivamente o prevalentemente professionale. La Corte ha ribadito il principio più volte affermato secondo cui, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela del consumo, la qualifica di "consumatore" spetta solo alle persone fisiche e solo se e in quanto le stesse concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, laddove deve essere considerato "professionista" tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che stipuli il contratto o nell'esercizio della sua attività imprenditoriale o professionale o per uno scopo a questa connesso. Una diversa qualificazione del rapporto intercorso, infatti- chiarisce la Suprema Corte – significherebbe compiere una torsione interpretativa contraria alla lettera e allo spirito della legge a tutela dei consumatori rendendo ipotetico e marginale il collegamento funzionale del contratto all’esercizio dell’attività professionale.  In conclusione l’accertamento di un rapporto di consumo ha imposto la deroga alla competenza per territorio in favore del foro del consumatore nei confronti di tutti gli istituti di credito. La Corte ha quindi accolto il ricorso e dichiarato la competenza del Tribunale del luogo in cui ha residenza il mutuatario-consumatore, condannando gli istituti di credito alle spese del giudizio. Per ulteriori approfondimenti sul punto si segnala una recente pronuncia del Tribunale di La Spezia, del 29/01/2014, con la quale richiamando l’ordinanza della Corte di Cassazione n.23280/07, si è sancito l’inderogabilità della competenza del Foro ove ha sede il titolare del trattamento dei dati, così come definito dall’art. 4, d.lgs. 196/03. In tale fattispecie, però, il soggetto che ha lamentato l’illegittimo utilizzo dei dati personali non aveva allegato di aver agito nell’ambito di un rapporto di consumo. CENTRALE RISCHI: è competente il Tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati...

Omicidio colposo: per la vittima concorso di colpa

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 13:49
Non è esonerato da responsabilità il conducente del veicolo che ha travolto ed ucciso un pedone, il quale, appena sceso da un autobus, aveva attraversato la strada

Giurisprudenza civile - Il Merito del Foro di Milano

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 12:50
Giurisprudenza civile - Il Merito del Foro di Milano Panoramica sulle più importanti decisioni del Foro di Milano dell'ultimo semestre in materia di: CONDOMINIO - CONTRATTI CON LA PA - CONTRATTO DI AGENZIA - CONTRATTO DI GARANZIA - CONTRATTO DI MEDIAZIONE - CONTRATTO IN GENERE - FAMIGLIA - GARANZIE PATRIMONIALI - LAVORO - OBBLIGAZIONI - PRIVACY - PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE - PROCESSO CIVILE - PROPRIETA' - RESPONSABILITA' CIVILE - RESPONSABILITA' PROFESSIONALE - RISARCIMENTO DEL DANNO - SUCCESSIONI ...

Misure cautelari: il Senato approva il Ddl, testo alla Camera

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 11:33
Con 208 voti a favore, 12 contro e un'astensione il Senato ha approvato con modifiche il Ddl che modifica la disciplina sulle misure cautelari personali. Il provvedimento torna ora alla Camera per il sì definitivo. Scopo del provvedimento è ridurre il sovraffollamento carcerario e limitare l'ambito applicativo della custodia cautelare

ESECUZIONE FORZATA: il creditore procedente può rettificare l’atto di provenienza degli immobili staggiti

Ex Parte Creditoris - Mer, 02/04/2014 - 11:09
Se uno degli immobili pignorati, pur essendo fisicamente descritto,  non viene riportato nei suoi dati catastali nell’atto di provenienza e nella relativa trascrizione, il notaio deve rettificare l’atto di provenienza, aggiungendovi il subalterno omesso, il tutto al fine di consentire l’idoneo acquisto dell’aggiudicatario onde prevenire eventuali futuri pregiudizi.  Così si è pronunziato il Tribunale di Napoli, Giudice dell’Esecuzione dott. Antonio Attanasio,  il quale ha onerato il creditore procedente, che - medio tempore - aveva già emendato la trascrizione del pignoramento, di rettificare l’atto di provenienza degli immobili pignorati, ove era omessa l’indicazione del subalterno afferente il lastrico solare, pur se fisicamente descritto.  La pronunzia è conforme a quanto disposto dall’art. 59-bis del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110, che prevede la facoltà del notaio di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell’esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato.   Per rettifica deve intendersi la correzione di un errore materiale, costituito da un’“inesattezza rilevabile ictu oculi” o da una “mera svista o disattenzione nella redazione”, rilevabile dallo stesso documento autentico da rettificare o da altro documento o pubblico registro preesistente, avente la medesima efficacia probatoria e causato dall’errata ed involontaria percezione di un dato reale esterno, che non deve ingenerare incertezza sul reale contenuto dell’atto, che è irregolare e non invalido.   La rettifica consiste, infatti, in una dichiarazione di scienza, per la quale - da un lato - si accerta l’esistenza di un errore nel senso sopra specificato e - dall’altro - si provvede alla correzione, ossia all’enunciazione del reale contenuto del dato errato. Tale strumento non è, invece, utilizzabile quando si deve modificare il contenuto precettivo dell’atto, in cui è contenuto l’errore, nel caso in cui sussistano elementi di incertezza riguardo all’esistenza o al contenuto dell’errore e  sia necessaria l’attività di interpretazione del contenuto dell’atto e di indagine nel processo psicologico degli autori dello stesso....

Abuso e pornografia minorile e T.U. immigrazione - Le modifiche del codice penale

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 11:00
In vigore dal prossimo 6 aprile le modifiche apportate dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 39, di Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI, pubblicato sulla G.U. n. 68 del 22 marzo 2014. Sulla stessa Gazzetta Ufficiale è stato altresì pubblicato il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 40, recante Attuazione della direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda ...

Carceri: Orlando firma accordo per trasferimento condannati marocchini

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 10:27
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha sottoscritto ieri a Rabat con il ministro della Giustizia e delle Libertà del Marocco, Mustafa Ramid, due Convenzioni, una in materia assistenza giudiziaria e di estradizione, l'altra in materia di trasferimento di detenuti condannati

Napoli Nord, istituito l'Ordine dei dottori commercialisti

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 10:17
È stato pubblicato sulla "Gazzetta ufficiale" del 1° aprile 2014 n. 76 il decreto 21 marzo 2014 del ministero della Giustizia "Istituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili del circondario del Tribunale di Napoli nord"

In "Gazzetta" il rinvio della chiusura degli Opg

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 10:12
È stato pubblicato sulla "Gazzetta ufficiale" del 1° aprile 2014 n. 76 il decreto-legge 31 marzo 2014 n. 52 Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari

Pene non detentive, approvata la delega in via definitiva

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 10:08
Domiciliari come pena principale, depenalizzazione, messa alla prova. Sono le linee guida della riforma del sistema sanzionatorio approvata oggi in via definitiva dalla Camera. La legge sulle pene detentive non carcerarie ridisciplina con due deleghe al Governo anche il procedimento nei confronti degli irreperibili abolendo l'istituto della contumacia

Avvocati, pronti al decollo i nuovi Consigli di disciplina

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 09:49
Avvocati pronti all'elezione dei Consigli distrettuali di disciplina previsti dall'articolo 50 della legge professionale 247/2012. Il 31 marzo è stato pubblicato il regolamento per scegliere i componenti, nei singoli distretti, applicando il principio che separa il controllo disciplinare dalla gestione dell'Ordine

Concorso in magistratura, l'elenco delle domande "irricevibili"

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mer, 02/04/2014 - 08:30
Il ministero della Giustizia ha pubblicato l'elenco delle domande irricevibili relative al concorso per 365 posti di magistrato ordinario indetto con Dm 30 ottobre 2013. L'elenco rimarrà pubblicato sino al 30 maggio 2014, dopo tale data non sarà più raggiungibile

AVVOCATI: PUNITA LA NEGLIGENZA “INCONSAPEVOLE” CHE PREGIUDICHI IL CLIENTE

Ex Parte Creditoris - Mer, 02/04/2014 - 08:27
È responsabile nei confronti del cliente l’avvocato che dilazioni lo svolgimento del processo a danno dell’assistito, chiedendo continui rinvii delle udienze, a nulla rilevando l’eventuale negligenza “inconsapevole”. È quanto si ricava dalla recente sentenza della Cassazione n. 5410, pronunciata lo scorso 7 marzo 2014, all’esito di un procedimento che vedeva coinvolti un avvocato ed il proprio assistito. Nel caso di specie, la sentenza trae origine da un giudizio di responsabilità professionale nell’ambito del quale una cliente aveva proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello con cui si affermava che  il legale della stessa, appellato,  non poteva considerarsi responsabile dei rinvii giudiziari, essendo notorio che tali rinvii sono sempre fisiologici e dovuti alle enormi pendenze giudiziarie che non consentono le trattazioni dei processi in corso di una od al più di due udienze. Ebbene la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha ritenuto fondate le censure della ricorrente, notando come la Corte di appello si fosse limitata a riprodurre letteralmente la motivazione della sentenza di primo grado, escludendo illogicamente una consapevole negligenza da parte del legale, quasi che una negligenza inconsapevole non potesse essere altrettanto ingiustamente pregiudizievole per il cliente e per i relativi interessi. Pregiudizio che a ben guardare – anche alla luce delle prove e degli atti di causa – era stato effettivamente subito dall’assistito, e che con tutta evidenza poteva essere “evitato” se solo il professionista avesse adottato la condotta doverosa. Né, al contrario, poteva dirsi integrata “una qualche lieve leggerezza” così come ritenuto dal locale Consiglio dell’ordine. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di legittimità, ritenuta che il legale fosse responsabile dei rinvii dallo stesso richiesti,  ha cassato la sentenza impugnata con conseguente rinvio della causa alla competente corte territoriale....

Cambiale, la registrazione fiscale non rientra nelle spese di giudizio

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mar, 01/04/2014 - 18:36
La parte che ha provveduto all'adempimento dell'obbligo fiscale della registrazione di una cambiale in sede di ingiunzione, non può chiedere che le spese sostenute vengano ricomprese tra quelle processuali, ma deve far valere il suo diritto al rimborso con una specifica domanda giudiziale. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza 7532/2014

CONCORDATO IN BIANCO: è sufficiente che il ricorso sia sottoscritto solo dal difensore munito di procura

Ex Parte Creditoris - Mar, 01/04/2014 - 16:54
“Allorchè il ricorso contenga (come consentito dal novellato art. 161 co. VI L.F.) solo una domanda di concordato cd. “in bianco”, riservandosi l’imprenditore di presentare la proposta, il piano e gli altri documenti prescritti, è sufficiente che il ricorso sia sottoscritto dal difensore munito di procura alle liti, posto che l’atto contiene evidentemente solo una domanda giudiziale, ma non certamente il piano per la soluzione negoziata della crisi”. Con la sentenza in esame, la Corte di Appello di Napoli, in accoglimento del reclamo proposto dalla società fallita, ha revocato la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento, motivando la propria decisione sulla base di un’interpretazione sistematica delle norme che regolano l’accesso alle nuove procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento dell’impresa. Nel caso di specie, il Tribunale aveva ritenuto inammissibile il ricorso ex art. 161 co. VI L.F., presentato da una società in liquidazione per ottenere l’accesso alla procedura di cd. “concordato in bianco”, per non aver il legale rappresentante della proponente apposto la propria firma in calce all’istanza in parola (sottoscritta esclusivamente dal difensore della società, munito di procura alle liti). Essendo già pendente la fase d’istruttoria prefallimentare, il Giudice di primo grado, riscontrata l’insussistenza delle esimenti di cui all’art.1 L.F., ne aveva conseguentemente dichiarato il fallimento. Nell’accogliere il reclamo, il Collegio muove dall’assunto secondo cui, sulla base del comb. disp. degli artt. 6 e 161 L.F., 82, 83 e 125 c.p.c., sia il ricorso ai sensi dell’art. 161 co. I L.F., che l’istanza per ottenere l’ammissione alla fase del cd. “concordato con riserva”, debbano essere proposti con il patrocinio di un difensore. Ciò posto, la Corte partenopea ha proseguito nel proprio iter motivazionale rilevando che, con le modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito nella Legge n. 134 del 7 agosto 2012 (e le ulteriori novità normative disposte con il cd. “decreto del fare”), il Legislatore ha inequivocabilmente inteso scindere in due diversi momenti formativi l’atto complesso che consente all’imprenditore di accedere alla procedura di concordato, così distinguendo la “domanda” contenuta nel ricorsoredatto ai sensi dell’art. 161 co. VI L.F. (da intendersi come la  mera richiesta di ammissione alla fase cd. di “preconcordato”); dalla “proposta” (da depositare alla scadenza del termine a tal fine concesso dal Tribunale), nella quale l’effettivo intento negoziale del debitore viene esplicitato mediante l’indicazione delle modalità quantitative, qualitative e temporali di soddisfacimento dei creditori, in uno con il piano delle attività tese alla soluzione della crisi d’impresa. Ritiene dunque la Corte che, se a mente dell’art. 161 co. VI L.F., “l’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato….riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione…entro un termine fissato dal giudice”, non v’è dubbio che l’obbligo di sottoscrizione imposto al legale rappresentante della società (secondo il comb. disp. degli artt. 152 e 161 co. I L.F.) debba riferirsi alla suddetta proposta contenente le condizioni del concordato ed il piano per la soluzione negoziata della crisi; e non già al ricorso (privo di ogni contenuto negoziale) con cui si chiede esclusivamente l’accesso alla fase preconcordataria, essendo sufficiente che quest’ultimo venga sottoscritto dal difensore munito di valida procura alle liti. Si segnala che la sentenza oggetto di impugnazione è già stata oggetto di  esame da questa rivista, si veda : CONCORDATO IN BIANCO: IL RICORSO VA FIRMATO DALL’IMPRENDITORE IN DISSESTO Dichiarata inammissibile una proposta di concordato sottoscritta dal solo avvocato e non dal debitore. Sentenza | Tribunale di Napoli, Giudice relatore dott. Nicola Graziano | 12-09-2013 | n.274...

Omissione di soccorso, l'obbligo di attivarsi prescinde dalla responsabilità nel sinistro

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mar, 01/04/2014 - 16:38
Nel reato di omissione di soccorso da parte di chi sia stato coinvolto in un incidente stradale, la sospensione della patente ha carattere di sanzione amministrativa e dunque non è soggetta alla sospensione condizionale prevista solo per le pene principali ed accessorie ma non per le sanzioni amministrative. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza 15040/2014

Onorari forensi, per la Consulta la decisione resta al giudice collegiale

Diritto 24 Il SOle 24 Ore - Mar, 01/04/2014 - 16:21
Non è fondata la questione di costituzionalità relativa alla previsione dell'obbligo di decisione in composizione collegiale - anziché monocratica - da parte di tribunali nelle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza 65 2014, decidendo sull'ordinanza del tribunale di Verona che aveva dedotto una violazione dei principi in materia di delega legislativa, di ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazion ...

CTU: la relativa nullità deve essere eccepita entro la prima istanza o difesa successiva al deposito

Ex Parte Creditoris - Mar, 01/04/2014 - 16:16
Deve ritenersi che l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d'ufficio, dedotta per vizi procedurali inerenti alle operazioni peritali, avendo carattere relativo, resti sanata se non fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l'udienza successiva al deposito, nella quale il giudice nella quale il giudice abbia rinviato la causa per consentire l'esame della relazione, poiché la denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto della relazione. E’ questo il principio di diritto statuito dalla Cassazione civile, sezione sesta, con ordinanza n.5995 pronunziata in data 14/03/2014 relativamente al deposito tardivo di una consulenza tecnica d’ufficio. Nel caso di specie, i ricorrenti avevano impugnato la sentenza della Corte di Appello di Catania che, nell’ambito di una controversia sullo scioglimento di una comunione ereditaria, non aveva rinnovato, per mera negligenza, la ctu depositata tardivamente dal perito incaricato di definire l’esatto valore delle quote ereditarie in questione dichiarando inammissibile la doglianza di nullità avanzata dagli stessi contro la ctu. Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha ritenuto corrette le osservazioni della Corte territoriale secondo cui la mera circostanza del deposito tardivo della relazione c.t.u. non ha alcuna conseguenza invalidante, potendo essa incidere solo sulla determinazione del compenso previsto dalla legge. I giudici di legittimità hanno ritenuto altresì infondata la censura sollevata dai ricorrenti, atteso che la Corte di Appello aveva rilevato la tardività dell’eccezione di supposta nullità della relazione del c.t.u. dedotta dagli appellanti  sul presupposto che la stessa non fosse stata formulata nella prima effettiva udienza celebratasi dopo il deposito della medesima relazione dell’ausiliario del giudice. Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Cassazione ha rigettato il ricorso condannando i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio....

Equa riparazione: indennizzabile anche il ritardo nell’adempimento al “decreto Pinto”

Ex Parte Creditoris - Mar, 01/04/2014 - 16:00
Il cittadino che, ottenuta l’equa riparazione ex legge Pinto, si sia visto costretto a promuovere processo di esecuzione forzata per ottenere l’adempimento dell’Amministrazione, a seguito del ritardo di quest’ultima, ha diritto ad un ulteriore indennizzo, o “equa soddisfazione”. Tale principio, tuttavia, va coordinato con il “principio della domanda”, ragion per cui, se il cittadino abbia qualificato la propria richiesta come risarcimento per il ritardo nell’adempimento – e non come equa riparazione per l’irragionevole durata del processo esecutivo – la domanda non può trovare accoglimento nelle forme e nei modi previsti dalla legge Pinto, ma il diritto all’equa “soddisfazione” va fatto valere direttamente innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, atteggiandosi a generale rimedio per l’effettività della tutela giurisdizionale. Questo, in estrema sintesi, il dictum della sentenza n.6312 della Cassazione civile, a Sezioni Unite, del 19.03.2014, con la quale è stato definitivamente chiarito l’ambito di operatività della legge n.89/2001 (c.d. legge Pinto), anche nell’ottica di una corretta individuazione della giurisdizione delle Corti italiane, in rapporto con le funzioni ed i poteri della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel caso all’esame delle Sezioni Unite, la Corte d’Appello di Firenze, adita per ottenere l’equa riparazione per irragionevole durata del processo, aveva condannato il Presidente del Consiglio dei ministri al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 2.500,00, oltre interessi e spese legali; tuttavia, nel perdurante inadempimento del Ministero competente all’erogazione della detta somma, il ricorrente si era visto costretto a promuovere procedimento di esecuzione forzata nella forma dell'espropriazione presso terzi, conclusasi con ordinanza di assegnazione. Orbene, atteso che, tra la data del decreto e quella dell'ordinanza di assegnazione del predetto credito da indennizzo, erano trascorsi due anni circa, il cittadino “danneggiato” aveva promosso un nuovo procedimento per ottenere un indennizzo per il detto ritardo innanzi alla Corte d’Appello fiorentina, la quale aveva rigettato il ricorso, affermando che "...la domanda di equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 3, può essere proposta unicamente in relazione ad una fattispecie dannosa che si concreti in una durata del processo che eccede quella ragionevole (art. 6, par. I, della Convenzione). La parte istante ha escluso che la doglianza sia correlata ad una durata eccessiva del processo esecutivo che è stata costretta ad intraprendere ...". In altre parole, i Giudici avevano considerato la domanda del ricorrente non come domanda di “equa riparazione” per irragionevole durata del processo, bensì come autonoma richiesta di risarcimento per la “mora debendi” (in relazione al ritardo della Pubblica Amministrazione nell’erogazione della somma richiesta), onde il rigetto della richiesta ed il conseguente ricorso per cassazione da parte del cittadino. L’articolata decisione del plenum si apre con un’accurata ricostruzione della giurisprudenza di legittimità e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo su casi analoghi. Questione preliminare la valutazione delle due fasi di un giudizio (di cognizione e di esecuzione), ai fini dell’individuazione della “ragionevole durata” del processo. Due gli orientamenti che, in tal senso, vengono in rilievo: 1. le Sezioni Unite, con la sentenza n. 27365 del 2009, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, questo va identificato, in base all'art. 6 della CEDU, sulla base delle situazioni soggettive controverse ed azionate su cui il giudice adito deve decidere che, per effetto di detta norma sovranazionale, sono diritti e obblighi, ai quali, avuto riguardo agli artt. 24, 111 e 113 Cost., devono aggiungersi gli interessi legittimi di cui sia chiesta tutela ai giudici amministrativi, con la conseguenza che, in rapporto a tale criterio distintivo, il processo di cognizione e quello di esecuzione regolati dal codice di procedura civile, nonchè il processo di cognizione del giudice amministrativo e quello di ottemperanza teso a far conformare la P.A. a quanto deciso in sede cognitoria, devono considerarsi, sul piano funzionale e strutturale, tra loro autonomi, in relazione appunto alle differenti situazioni soggettive azionate in ciascuno di essi, con l'ulteriore conseguenza che, in dipendenza di siffatta autonomia, le durate dei predetti giudizi non possono sommarsi per rilevarne una complessiva dei due processi (di cognizione, da un lato, e di esecuzione o di ottemperanza, dall'altro) e, perciò, solo dal momento delle decisioni definitive di ciascuno degli stessi, è possibile, per ognuno di tali giudizi, domandare, nel termine semestrale previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, l'equa riparazione per violazione del citato art. 6 della CEDU, con conseguente inammissibilità delle relative istanze in caso di sua inosservanza (cfr., ex plurimis, le successive sentenze conformi nn. 16828 del 2010, 820 e 13739 del 2011); 2. la Corte EDU ha affermato costantemente che, al fine di stabilire se un processo ha avuto durata ragionevole, ai sensi dell'art. 6, paragrafo 1, della CEDU, deve considerarsi globalmente la fase di cognizione e quella di esecuzione, promossa per la realizzazione del diritto fatto valere in giudizio ed, in particolare, con la sentenza del 29 marzo 2006 (Cocchiarella c/ Italia), sarebbe illusorio se l'ordinamento giuridico interno di uno Stato Contraente consentisse a una decisione giudiziaria irrevocabile e vincolante di rimanere inoperante a detrimento di una parte. L'esecuzione della sentenza resa dal giudice deve pertanto essere considerata come parte integrante del processo ai fini dell'articolo 6 (vedi, inter alia, Hornsby contro la Grecia, sentenza del 19 marzo 1997, Reports 1997 - II, pagg. 510 - 11, p.40 e segg., e Metaras contro la Grecia, n. 8415/02, p.25, 27 maggio 2004).  Tra l’altro, a conferma di tale orientamento, la Corte Costituzionale ha più volte sottolineato la natura “costituzionalmente necessaria” della fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia. Ciò esposto, considerato che il primo dei due orientamenti è stato dettato in relazione allo specifico caso di un processo amministrativo seguito dal giudizio di ottemperanza, tenuto conto dell’importanza massimale della questione, si comprende il motivo della sottoposizione di quest’ultima alle Sezioni Unite. In sintesi, le questioni sottoposte a queste ultime, possono essere così sintetizzate: a) se il ritardo nella "realizzazione" del diritto all'indennizzo ed agli interessi, di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, già fatto valere e riconosciuto nel processo di cognizione promosso ai sensi della stessa L. n. 89 del 2001, possa o no esser fatto valere mediante domanda di (ulteriore) equa riparazione per il ritardo nella realizzazione, e se, in particolare, il processo di esecuzione forzata, eventualmente promosso per ottenere la realizzazione medesima, possa qualificarsi o no del tutto autonomo rispetto al precedente processo di cognizione di formazione del titolo;  b) se il rimedio al ritardo nell'adempimento della Pubblica Amministrazione - per il tempo trascorso tra il definitivo riconoscimento del diritto all'indennizzo e la realizzazione di tale diritto (pagamento) - debba necessariamente consistere in un ulteriore indennizzo liquidato al titolare del diritto ai sensi della legge n. 89 del 2001, ovvero possa consistere anche nel riconoscimento degli interessi moratori. Presupposto dell’analisi è il riferimento al principio costituzionale di “effettività” della tutela giurisdizionale, di cui all'art. 24 Cost., comma 1, art. 111 Cost., commi 1 e 2, e art. 113 Cost., commi 1 e 2, in relazione al quale è stata individuata la necessarietà costituzionale della “fase” esecuzione coattiva. Orbene, proprio la denominazione “fase” induce a ritenere che quest’ultima, riferendosi ad una situazione soggettiva sostanziale di vantaggio già riconosciuta nella precedente “fase” della cognizione, alluda ad un processo “unico, nel quale il diritto rivendicato diventa effettivo solo al momento dell’esecuzione (ove necessaria). Tanto ha affermato, in particolare, la Corte di Strasburgo in varie pronunce (una su tutte la sentenza della Grande Camera del 29 marzo 2006 – Cocchiarella c/ Italia), nelle quali ha ribadito che “l’esecuzione della sentenza resa dal giudice deve […] essere considerata come parte integrante del ‘processo’ ai fini dell’art.6” della CEDU. Così, se “si attenuano, fino a scomparire, le ‘differenze funzionali e strutturali’ (richiamate dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 27365 del 2009) tra processo di cognizione e processo di esecuzione forzata - peraltro certamente esistenti e rilevanti ad altri fini, vale a dire sul piano dell'interpretazione e dell'applicazione della disciplina processuale dettata dalla legislazione ordinaria”, va però operata un’altra importante distinzione, sotto il profilo sostanziale: quella tra il diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo e quello “all’esecuzione delle decisioni interne esecutive”, il quale costituisce una situazione soggettiva differente, alla quale, in altre decisioni della Corte EDU (es. sent. Simaldone c/ Italia), va accordata tutela in via autonoma. In altri termini, più volte la Corte di Strasburgo ha affermato che “il ritardo nel pagamento delle somme Pinto costituisce una violazione autonoma dell’art. 6 della Convenzione (diritto all’esecuzione delle decisioni interne esecutive)” e pertanto non vi sono “motivi per derogare a tale approccio” (sent. 16 luglio 2013, Gagliardi c/ Italia, n.50). Alla luce di tale distinzione, gli Ermellini puntualizzano che non basta la sola considerazione unitaria del processo (e, quindi, dello stesso processo “Pinto”) perché possa dedursi che, nell’ordinamento italiano, la norma sostanziale astrattamente idonea ad assicurare la tutela di entrambi i diritti (quello alla ragionevole durata del processo e quello all’effettività della tutela giurisdizionale) sia, appunto, la legge 89/2001. Anzi, la stessa lettera della legge “Pinto” (art.2, comma 1) induce a ritenere che la fattispecie del ritardo della Pubblica Amministrazione nel pagamento delle somme a titolo di “equa riparazione” fuoriesca dall’ambito di tutela di tale normativa. E d’altronde, tale principio sembra ben chiaro alla giurisprudenza amministrativa già da tempo, laddove, come nel caso della  pronuncia del TAR LAZIO, sez. I, n.8746, già oggetto di commento su questa rivista, a venire in rilievo è l’autonomo risarcimento del danno da ritardo, a carico dell’Amministrazione, qualora il Ministero non abbia corrisposto le c.d. somme “Pinto”. Il fatto che il legislatore del 2001, nell’accordare il diritto all’equa riparazione, non abbia inteso regolamentare l’autonoma fattispecie del ritardo della Pubblica Amministrazione nella corresponsione delle somme a tale titolo liquidate, per le Sezioni Unite non costituisce indice di illegittimità costituzionale della normativa, atteso che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo accorda ampia discrezionalità agli Stati membri nella regolamentazione degli strumenti posti a presidio dell’effettività della tutela giurisdizionale. Riguardo a quest’ultima fattispecie, la Cassazione sottolinea che la Corte EDU ha anche affermato che "[...] è inopportuno chiedere a una persona, che ha ottenuto una sentenza contro lo Stato, alla fine di un procedimento giudiziario, di proporre poi un procedimento di esecuzione per ottenere soddisfazione”. e pertanto questa, adita in via diretta, ha accordato ai ricorrenti una somma a titolo di "equa soddisfazione" ai sensi dell'art. 41 della Convenzione, più volte ritenendo peraltro insufficiente ("non determinante"), quale rimedio a detto ritardo, il riconoscimento dei soli interessi moratori (cfr. al riguardo, ex plurimis, le sentenze 10 dicembre 2013, Limata ed altri contro Italia, n. 24, e 31 marzo 2009, Simaldone contro Italia, n. 63, cit.). Pertanto, ad avviso del Supremo Collegio, la questione va risolta anzitutto attraverso una corretta applicazione del principio della domanda, espresso dall’art.99 cpc. Vale a dire che, preliminarmente – e tenuto conto dell’intrinseca differenza delle situazioni sostanziali e degli strumenti processuali di tutela – ogni singola fattispecie deve essere differenziata a seconda che il ricorrente abbia chiesto l’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo Pinto, ovvero per il ritardo nel pagamento del già riconosciuto indennizzo e degli interessi oggetto della pronuncia di condanna con il decreto Pinto definitivo. A tal proposito, le Sezioni Unite distinguono varie ipotesi (e altrettante prospettazioni) alternative, che di seguito si riportano: A) Il caso in cui il ricorrente abbia fatto valere il diritto ad un processo Pinto di durata ragionevole, che può essere ulteriormente suddistinto, a seconda che sia stata dedotta in giudizio la durata irragionevole della sola "fase" di cognizione ovvero anche della promossa ed esaurita "fase" di esecuzione forzata del titolo definitivo ottenuto nella prima fase. A1) Nel caso in cui la fase della cognizione del processo Pinto si sia conclusa - non rileva se in senso favorevole o sfavorevole al ricorrente - in un tempo eccedente il termine complessivo di due anni (secondo il consolidato orientamento di questa Corte, conforme alla giurisprudenza della Corte EDU: cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 5924 e 8283 del 2012), il ricorrente può far valere, nelle forme e nei termini di cui alla medesima L. n. 89 del 2001, il diritto all'equa riparazione per la durata irragionevole di tale fase del processo Pinto eccedente i due anni. Caso, questo, che non comporta particolari difficoltà interpretative. A2) Nel caso in cui la "fase" della cognizione del processo "Pinto" si sia conclusa in senso favorevole al ricorrente, la somma corrispondente (indennizzo ed interessi) deve essere pagata dall'Amministrazione al titolare entro il termine dilatorio di sei mesi (secondo la giurisprudenza della CEDU dianzi citata) e cinque giorni(in forza dell'art. 133 c.p.c., comma 2) dalla data in cui il provvedimento che la accorda è divenuto esecutivo (cfr. anche, ex plurimis, la sentenza n. 15658 del 2012, in fattispecie identica a quella in esame), con la conseguenza che, ove il predetto termine dilatorio non sia stato rispettato dall'Amministrazione convenuta ed il titolare abbia optato per la promozione di un procedimento di esecuzione forzata del titolo ottenuto - procedimento, questo, da considerarsi, sulla base di tutte le considerazioni che precedono, quale "fase dell'esecuzione" di un unico processo, che ha inizio con la domanda di equa riparazione e fine con la conclusione di tale seconda fase -, la durata complessiva di tale processo è costituita dalla somma della durata delle due fasi, di cognizione e di esecuzione, con l'ulteriore conseguenza che, se tale complessiva durata eccede il termine di due anni (cfr., supra, lettera A1), sei mesi e cinque giorni, lo stesso titolare ha diritto all'equa riparazione commisurata a tale eccedenza, diritto da far esplicitamente valere - si ribadisce: con appropriate e specifiche deduzioni anche in punto di fatti costitutivi del diritto azionato, cioè del diritto ad un processo Pinto di durata ragionevole - nelle forme e nei termini di cui alla L. n. 89 del 2001, in particolare entro sei mesi dalla data del provvedimento conclusivo della "fase" di esecuzione forzata (ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, sia nel testo originario, sia in quello sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. d), data nella quale - si sottolinea - può non essere stato ancora eseguito il pagamento delle somme dovute. B) Il caso - in cui il ricorrente abbia fatto valere, invece, il diritto all'esecuzione delle decisioni interne esecutive, cioè del decreto di condanna Pinto definitivo, dolendosi del ritardo dell'Amministrazione nel pagamento delle somme relative - può essere a sua volta suddistinto, a seconda che sia stata promossa o no l'esecuzione forzata del titolo così ottenuto, circostanze queste, come più volte sottolineato, da dedurre nel giudizio in modo adeguato e specifico. B1) Nel primo caso (decreto di condanna Pinto seguito dalla promozione dell'esecuzione forzata) - ribadito che la somma corrispondente (indennizzo ed interessi) deve essere pagata dall'Amministrazione al titolare entro il termine dilatorio di sei mesi e cinque giorni dalla data in cui il provvedimento che la accorda è divenuto esecutivo -, il ricorrente ha il diritto - fondato appunto, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, sulla violazione dell'art. 6, prf. 1, della CEDU, sotto il richiamato profilo del "diritto all'esecuzione delle decisioni interne esecutive" - ad un ulteriore indennizzo (ed agli interessi) commisurato sia all'entità del ritardo, eccedente i sei mesi e cinque giorni, nella "realizzazione" dell'indennizzo e degli interessi (già riconosciuti per l'irragionevole durata del processo "presupposto"), vale a dire nel pagamento effettivo di tali somme, sia alla circostanza della intervenuta promozione del processo di esecuzione forzata. Tale diritto, tuttavia - per le anzidette ragioni, non può esser fatto valere nelle forme e nei termini di cui alla legge n. 89 del 2001, ma, allo stato attuale della legislazione interna, soltanto mediante ricorso diretto alla Corte di Strasburgo, come del resto accaduto numerosissime volte. B2) Nel secondo caso (decreto di condanna Pinto non seguito dalla promozione dell'esecuzione forzata), in cui cioè il titolare del diritto all'indennizzo ed agli interessi per l'irragionevole durata del processo presupposto abbia scelto di tenere un comportamento di "attesa" della realizzazione del suo credito senza svolgere ulteriori attività, facendo implicitamente valere soltanto il "mero ritardo", per così dire, nel pagamento delle somme corrispondenti, potrebbero astrattamente prospettarsi le seguenti soluzioni alternative: o il rimedio a tale ritardo dell'Amministrazione è costituito dal titolo della già pronunciata condanna al pagamento degli interessi "corrispettivi" dalla domanda di equa riparazione al saldo, interessi che, dal giorno della mora debendi della stessa Amministrazione (successivo alla scadenza di sei mesi e cinque giorni), si convertono in interessi "moratori", dovuti appunto fino alla data dell'effettivo pagamento; ovvero il rimedio al ritardo - ed è questa la soluzione seguita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo - è costituito, anche in questo caso, da un ulteriore indennizzo, dovuto dall'Amministrazione in forza dell'art. 41 della Convenzione, per la violazione dell'art. 6, prf. 1, sotto il più volte richiamato profilo del "diritto all'esecuzione delle decisioni interne esecutive", e commisurato al periodo eccedente il predetto termine dilatorio concesso all'Amministrazione medesima per il pagamento. Anche in questo caso, tuttavia, tale diritto non può esser fatto valere nelle forme e nei termini di cui alla legge n. 89 del 2001, ma, allo stato attuale della legislazione interna, soltanto mediante ricorso diretto alla Corte EDU.  Alla luce delle prospettate ipotesi alternative, la Corte ha così rigettato il ricorso, atteso che la Corte d’Appello di Firenze aveva qualificato correttamente (rectius, motivando in maniera sufficiente, non contraddittoria ed immune da vizi logici e giuridici) la domanda come volta a far valere il danno per il ritardo del pagamento della P.A. – e non come richiesta di equa riparazione per l’eccessiva durata del processo esecutivo. In conclusione, il cittadino che abbia ottenuto l’equa riparazione e, non indennizzato dall’amministrazione nel termine di sei mesi e cinque giorni, abbia percorso la strada del giudizio di esecuzione del decreto Pinto, non può avvalersi degli strumenti processuali di cui alla legge 89/2001 se intenda dedurre in giudizio – non il danno da irragionevole durata del processo esecutivo, bensì – l’autonomo diritto all'esecuzione delle decisioni interne esecutive, a fronte del ritardo della P.A., con la conseguenza che dovrà adire direttamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per ottenere equa “soddisfazione”. La pronuncia delle Sezioni Unite, che si segnala per ampiezza espositiva e chiarezza del percorso logico-argomentativo, definisce –de jure condito – i confini di applicazione della legge “Pinto”, oggetto di recenti riforme e dibattiti, nonché di diffuso interesse, in quanto unica “ancora di salvezza” – certamente insufficiente – a fronte delle patologiche inefficienze della macchina della Giustizia.  Segue una rassegna delle pronunce giurisprudenziali più recenti sul tema, già oggetto di commento su questa rivista. “EQUA RIPARAZIONE” – PRESUPPOSTI E LIMITI Principi e rassegna giurisprudenziale sul risarcimento dei danni da irragionevole durata del processo Articolo giuridico | 12-02-2014 | Legge 24 marzo 2001 n.89; d.l. 22 giugno 2012, n.83  IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: IL RISARCIMENTO SPETTA ANCHE AL CONTUMACE La contumacia della parte non preclude il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del processo Ordinanza | Cassazione civile, sezioni unite | 14-01-2014 | n.585  IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: LA SUSSISTENZA DEL DANNO NON DEVE ESSERE PROVATA Il danno non patrimoniale si presume sino a prova contraria Altro | Cassazione civile, sezione seconda | 20-01-2014 | n.1070  DIRITTO ALL’EQUA RIPARAZIONE PER IL MANCATO RISPETTO DEL TERMINE RAGIONEVOLE DEL PROCESSO E' configurabile anche in relazione ai procedimenti di esecuzione forzata Sentenza | Cassazione civile, sezione sesta | 15-07-2013 | n.16029   LEGGE PINTO – EQUA RIPARAZIONE – IL TERMINE DI 6 MESI È UN TERMINE DI DECADENZA SE IL PROCESSO È CONCLUSO Quando il processo è ancora pendente, non è previsto alcun termine di prescrizione per proporre la relativa domanda. Sentenza | Cassazione civile, sezioni unite | 02-10-2012 | n.16783...

Pagine

Abbonamento a Studio Legale Gambino & Serraino aggregatore

Newsletter

Vuoi rimanere in contatto con lo Studio e ricevere tutte le notizie direttamente al tuo indirizzo e-mail? Iscriviti alla nostra mailinglist

Contattaci

Lo Studio Legale Gambino & Serraino riceve il lunedì, il mercoledì e il venerdì dalle ore 16.00 alle ore 20.00, previo appuntamento 

Social networks

Lo Studio legale Gambino & Serraino è anche nei Social network.