USURA BANCARIA: non rileva limpatto della capitalizzazione trimestrale
In materia di usura bancaria, quando la capitalizzazione trimestrale sia legittimamente pattuita, come da Delibera CICR del 09.02.2000, limpatto di questultima non può essere computato nel TEG, proprio perché linteresse è capitalizzato, id est imputato a capitale, di tal che una diversa prospettazione è inficiata nel metodo, prima che nel merito. Non può sostenersi il superamento del tasso soglia antiusura per effetto dellinclusione della Commissione di Massimo Scoperto nel TEG, di contro alle direttive della Banca dItalia antecedenti al 2009 (applicabili ratione temporis), atteso che listituto di credito non può discostarsi dalle istruzioni del suo organo di vigilanza. La ritenuta illegittimità delle dette direttive che peraltro si riscontra in alcune pronunce della Corte di Cassazione porrebbe la Banca in una condizione obiettivamente inesigibile: ieri costretta a disattendere quanto stabilito - a torto o a ragione ma, certo, in modo non manifestamente illegittimo dallorgano di vigilanza, per non essere oggi, a seguito di una sopravvenuta giurisprudenza di legittimità, tacciata di applicazioni sostanzialmente usurarie. Quando la commissione di massimo scoperto sia lecitamente pattuita, in maniera determinata o determinabile, non può sostenersi che questa sia priva di causa. Non pare corretto, infatti, scrutinare il requisito causale in relazione alla singola clausola di un contratto, specie allorquando essa non palesi alcuna autonomia rispetto al regolamento negoziale complessivo in cui siscrive. In tale prospettiva, anche la c.m.s. acquisisce una valenza causale, quale componente complessiva del costo del finanziamento, sub specie dellintensità di utilizzo della provvista disponibile. La questione dellantergazione o postergazione dei giorni valuta, per fattispecie antecedenti al D.Lgs. Tremonti ter del 25.06.2009 ed alla Direttiva Europea sui Servizi di Pagamento (recepita con D.Lgs. 11/2010) è da intendersi posta praeter legem, con la conseguenza che non può di per sé affermarsi lillegittimità di qualsivoglia prassi bancaria in tal senso. È inammissibile lazione di ripetizione di quanto illegittimamente addebitato dalla Banca per contratti di fido, qualora non vi sia evidenza della chiusura del conto corrente. A meno che non si tratti di operazioni qualificabili in concreto come pagamenti (i.e. c.d. rimesse solutorie), lazione di ripetizione del saldo rettificato è comunque inammissibile quando il conto sia in vita, in quanto essa non è ancora sorta ed il relativo termine di prescrizione non ha iniziato ancora a decorrere, poiché il saldo non è ancora esigibile sino a chiusura del conto. In questi termini si è pronunciato il Tribunale di Torino, in persona del G.U. dott. Bruno Conca, con la sentenza n.3783 del 21 maggio 2014, risolvendo la controversia proposta in danno di un istituto di credito da un correntista, che aveva dedotto lapplicazione di tassi usurari, di commissioni di massimo scoperto invalide, asserita lindebita antergazione/postergazione dei giorni valuta, nonché chiesto la dichiarazione di nullità dei contratti di fido, con conseguente azione di ripetizione del saldo rettificato. Senza necessità di attività istruttoria, il Giudice torinese ha rigettato integralmente le pretese del cliente, applicando una serie di principi di diritto già ampiamente consolidati nella giurisprudenza di merito e di legittimità. Nellordine, il Tribunale ha preliminarmente rigettato la domanda relativa allasserita applicazione illegittima di interessi ultralegali, atteso che il cliente aveva prospettato la tesi della necessità di rinegoziazione delle nuove condizioni contrattuali, non essendo sufficiente lassolvimento degli oneri di comunicazione. Tesi ovviamente infondata, non trovando riscontro nel dettato normativo applicabile. Quanto allapplicazione dei tassi usurari, è assai ampia e articolata la motivazione con la quale è stata respinta la censura relativa al superamento del tasso soglia per effetto della capitalizzazione trimestrale. Ove questultima sia stata lecitamente pattuita, sotto la vigenza della Delibera CICR del 09.02.2000, essa non può essere considerata al fine della determinazione del TEG e ciò perché, come espresso in maniera approfondita in una precedente pronuncia del Tribunale di Torino (la n.2883/2012, che il Giudice espressamente richiama) il debito da interesse passivo viene conglobato nel capitale, così mutando di regime giuridico, da obbligazione accessoria dinteressi a obbligazione principale per sorte capitale, mutamento che non avviene - pienamente e di per sé nella fattispecie dellanatocismo, che presenta caratteri diversi. Tale affermazione trova riscontro anche in una precisa regola di matematica finanziaria, relativa al computo del TEG: sostenere che nel calcolo del tasso soglia occorra depurare il capitale delleffetto della capitalizzazione degli interessi è incongruo: infatti, cosi come gli interessi sugli interessi maturati nei trimestri precedenti devono essere ricompresi nel numeratore, del pari gli interessi maturati nei trimestri precedenti non possono essere espunti dal denominatore. In tale ipotesi, infatti, si raffronterebbero dati non omogenei fra loro, considerato anche che il tasso soglia viene determinato sulla base di un tasso globale effettivo medio che ricomprende, nel denominatore, gli interessi maturati nei trimestri precedenti. In tal senso, la prospettazione di parte attorea (così argomentava il Tribunale in un precedente riferentesi a fattispecie analoga) è inficiata nel metodo, non essendovi quindi evidenza del dedotto superamento del tasso soglia. Quanto alla commissione di massimo scoperto, il Giudice torinese, rilevata la liceità della pattuizione di questultima, è deciso nellaffermare la piena sussistenza di un valido elemento causale a supporto della stessa. Il discorso, infatti, più che sulla singola clausola, va spostato sul piano del negozio complessivamente considerato, sulla scorta dellorientamento consolidato per il quale, in assenza di autonomia della singola pattuizione rispetto al regolamento negoziale complessivo in cui si iscrive, la causa non può che essere declinata in relazione al negozio nel suo complesso, quando non, addirittura, al collegamento funzionale di più contratti. È in tale prospettiva che la c.m.s. acquisisce una valenza causale, la quale non viene meno sol perché eventualmente si accerti che la pattuizione della stessa comporti un costo eccessivo del finanziamento. Il Tribunale ha poi rigettato la domanda, in relazione alla illegittima antergazione/postergazione dei giorni valuta, per la genericità della deduzione, nonché per il fatto che, prima dellentrata in vigore del D.Lgs. Tremonti ter, del 25.06.2009, nonché della Direttiva Europea sui Servizi di Pagamento (recepita con D.Lgs. 11/2010), tale questione non trovava alcun riferimento normativo, con la conseguenza che, trattandosi di fattispecie praeter legem, non può affermarsi lillegittimità in sé di qualsivoglia prassi bancaria in tal senso. Infine, la pronuncia in esame riporta un importante principio in materia di ripetizione delle somme indebitamente applicate dalla Banca in un rapporto di conto corrente: quando il conto corrente sia ancora in vita, e salvo che non si tratti delle c.d. rimesse solutorie, cioè di operazioni in concreto qualificabili come pagamenti, lazione di ripetizione del saldo rettificato non è ammissibile, siccome essa non è ancora sorta, con la conseguenza che il termine di prescrizione, ex art.2935 cc, non inizia a decorrere (actio nondum nata non praescribitur). Lazione sorge, in definitiva, solo quando il saldo diviene esigibile, vale a dire a chiusura del conto corrente. In conclusione, la sentenza del Tribunale di Torino, rigettando in toto ogni domanda del cliente, ha fornito una chiara ricognizione di una serie di principi applicabili in materia di diritto bancario, con argomentazioni e tesi interessanti per lattualità delle questioni e per la complessità di taluni profili, spesso equivocati sulla scorta di una parziale interpretazione del contesto normativo. In materia di usura bancaria, in particolare, è opportuno sottolineare un principio richiamato dal Giudice e molto spesso trascurato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità: al di là della valenza (amministrativa/regolamentare e non certamente attestantesi al vertice delle fonti normative) delle istruzioni della Banca dItalia, lillegittimità di queste ultime non può ripercuotersi sulla legittimità del contegno del singolo istituto di credito che abbia correttamente seguito le direttive del proprio organo di vigilanza, e ciò perché non è dato esigere dalla Banca di disattendere quanto richiesto da Bankitalia (in maniera non manifestamente illegittima) per non incorrere in responsabilità quando, a seguito di una sopravvenuta giurisprudenza di legittimità, le dette prescrizioni dovessero rivelarsi illegittime. Tale principio era stato già chiaramente affermato dallo stesso Tribunale di Torino, in una pronuncia oggetto di commento su questa rivista, alla quale si rinvia per approfondimenti: USURA BANCARIA: INESIGIBILITÀ DI CONDOTTE DIFFORMI DALLE ISTRUZIONI DELLA BANCA DITALIA Il sopravvenuto orientamento giurisprudenziale, per quanto consolidato, non può determinare lillegittimità del comportamento degli istituti di credito Sentenza - Tribunale di Torino, dott.ssa Maurizia Giusta - 17-02-2014 - n.1244...
Conducente responsabile dell'imprudenza altrui se prevedibile
Con la sentenza n. 17803 del 28 aprile scorso la IV sezione penale della Cassazione ha confermato che il principio dell'affidamento nello specifico campo della circolazione stradale trova un opportuno temperamento nell'opposto principio, secondo cui l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità
Droga: giudici "in campo" per il nodo procedimenti in corso
Il Dl sulla droga sul "banco di prova". È stato finalmente convertito, ma con importanti modifiche, il decreto legge 20 marzo 2014 n. 36 (che può leggersi, commentato, su «Guida al Diritto», n. 15/2014, pagine 31 e seguenti)
DERIVATI: la violazione del dovere di informazione del cliente non può mai comportare la nullità del contratto
In tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario non può, in ogni caso, determinare, a norma dellart.1418 cc, la nullità del cosiddetto contratto quadro o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso. E questo il principio di diritto statuito dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n.1848 pronunziata in data 20/05/2014 in tema di strumenti finanziari derivati. Nel caso di specie, una società aveva proposto appello avverso il lodo reso dal Collegio Arbitrale e favorevole allistituto di credito, chiedendo che venisse dichiarata la nullità del contratto normativo per la prestazione di servizi di investimento nonché del contratto di interest rate swap stipulato con la Banca resistente. Ad avviso della ricorrente, erroneamente il Collegio Arbitrale aveva riconosciuto ad essa lo status di operatore qualificato, sulla scorta della sua appartenenza (in realtà solo formale) alla categoria degli intermediari finanziari di cui allelenco previsto dallart.106 del Testo Unico Bancario, dando vita ad unapplicazione delle norme in materia di prestazione dei servizi di investimento assolutamente contraria a quelle norme imperative che sono il cardine della disciplina di settore dettata dal D.Lgs 58/98 TUF. Tale circostanza avrebbe comportato la radicale nullità della decisione impugnata. Ebbene, la Corte di Appello, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha preliminarmente rilevato che il fatto che le norme asseritamente violate dagli Arbitri siano norme imperative non comporta, di per sé, che il lodo impugnato sia contrario allordine pubblico. Ed infatti, secondo costante giurisprudenza, le norme imperative, benchè inderogabili, perché poste a tutela di interessi generali, non comportano sempre, ove siano violate, la nullità del contratto ex art.1418 cc. Nel merito della questione, la Corte territoriale ha poi evidenziato richiamando una famosa pronuncia delle SS.UU.(Cass.Civ., SS.UU., sent. del 19.12.2007, n.26724) come, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico degli intermediari finanziari può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove tali violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto quadro, o a responsabilità contrattuale, ed eventualmente alla risoluzione del contratto, qualora si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento compiute in esecuzione del contratto quadro, ma, in ogni caso, deve escludersi che la violazione di tali doveri possa determinare la nullità del contratto. In estrema sintesi: il cliente che denunci la violazione dei doveri di informazione potrà far valere solo la responsabilità precontrattuale della Banca, ovvero ottenere la risoluzione del contratto, ma giammai conseguire la radicale nullità del negozio stesso. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Appello di Milano, ritenute inammissibili le censure del lodo per gli asseriti errores in iudicando denunciati dalla società ricorrente, ha rigettato limpugnazione, condannando vieppiù questultima alla integrale rifusione delle spese processuali....
Droga, il 29 maggio le S.U. sulla Fini Giovanardi
Saranno le sezioni unite penali della Cassazione a chiarire, giovedì prossimo, se le conseguenze della bocciatura, da parte della Consulta, della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, riguarderanno anche le condanne già passate in giudicato. La Suprema Corte, infatti, è chiamata a sciogliere il nodo giurisprudenziale - più generale rispetto ai reati in materia di stupefacenti - «se la dichiarazione di illegittimità di una norma penale sostanziale diversa dalla norma incriminatrice comporti una rideterminazione ...
La parodia fa il suo (non ancora trionfale) ingresso a Lussemburgo
Con le conclusioni rese lo scorso 22 maggio 2014 nella causa C-201/13 (Johan Deckmyn e Vrijheidsfonds VZW c. Helena Vandersteen, Christiane Vandersteen, Liliana Vandersteen, Isabelle Vandersteen, Rita Dupont, Amoras II CVOH e WPG Uitgevers België) l'Avvocato generale della Corte di Giustizia Cruz Villalón si è pronunciato in relazione alla natura e al significato della nozione di "parodia" quale eccezione ai diritti esclusivi di riproduzione, distribuzione, comunicazione al pubblico di opere protette, ...
I gravi motivi di recesso dal contratto di locazione ai sensi dell'art. 27 legge 392/78
I gravi motivi devono sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto ed essere tali da rendere oltremodo gravoso per il conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo.
USURA BANCARIA: la Banca non può operare difformemente dalle istruzioni dellOrgano di vigilanza
Si ringrazia per la segnalazione del provvedimento lAvv Giorgio Orioli del Foro di Ferrara In materia di usura bancaria, laddove, le istruzioni della Banca dItalia applicabili ratione temporis, non prevedessero il computo della CMS nel TEGM, calcolare il TEG secondo un criterio diverso con inclusione delle CMS renderebbe questultimo valore non correttamente confrontabile al tasso soglia. Non può pretendersi che la Banca operi in modi difformi dalle istruzioni dellOrgano di Vigilanza. Il cliente non può dolersi dellapplicazione delle CMS pattuite per iscritto sotto la vigenza della legge 22 dicembre 2011 n.214. È quanto stabilito dal Tribunale di Ferrara, nella persona del Dott. Alessandro Rizzieri, con la sentenza n.592 del 21 maggio 2014. Nel caso di specie, il Tribunale è stato chiamato a decidere sulleccezione proposta da una debitrice nella sua comparsa di costituzione, con la quale la stessa sosteneva la nullità degli addebiti di conto nei confronti di un istituto di credito, affermando che la capitalizzazione degli interessi calcolati dalla banca fosse illegittima. Ebbene, il Giudice dopo aver accertato che la capitalizzazione trimestrale degli interessi era stata pattuita tra le parti come anche le commissioni di massimo scoperto, ha sottolineato quanto affermato dal c.t.u, e cioè che calcolare il TEG secondo un criterio diverso rispetto alle vigenti istruzioni della Banca dItalia, con conseguente inclusione delle CMS, renderebbe questultimo valore non correttamente confrontabile al tasso soglia, in quanto risulterebbero differenti, e quindi non omogenee, le modalità di conteggio utilizzate, con conseguenti effetti distorsivi sui risultati ottenuti. Il Giudice, evidenziando come non ci si potesse aspettare che la Banca operasse in maniera difforme rispetto alle istruzioni dellOrgano di Vigilanza della Banca dItalia, ha ritenuto infondate le doglianze della creditrice, condannando la stessa al pagamento, nei confronti dellIstituto di credito, di quanto dovuto sulla base dei rapporti bancari nonchè al pagamento delle spese di giudizio....
SEPARAZIONE, piena discrezione del giudice nel disporre le indagini patrimoniali
Le Sentenze in commento ci consentono di tornare su di un tema che ben può dirsi centrale rispetto al contenzioso "economico" del processo della famiglia, sia in sede di separazione che in sede di divorzio - Riconosciuto il diritto del coniuge di accedere alla fiscalità dell'ex
Mediazione e arbitrato nelle assicurazioni. La proposta di AIDA-CAM per le imprese
Venerdì 13 giugno, dalle 9.30 alle 12.30, incontro "Mediazione e arbitrato nelle assicurazioni. La proposta di AIDA-CAM per le imprese" alla Camera di commercio di Milano in via Meravigli 9/b (MM Cordusio).
PRESCRIZIONI PRESUNTIVE: inopponibili solo per crediti riconosciuti in giudizio
Se è vero che, in tema di prescrizioni presuntive l'ammissione di non avere estinto il debito, da parte del debitore, può legittimamente risultare anche per implicito dalla contestazione dell'entità della somma, l'ammissione, per essere giuridicamente rilevante e determinare, ai sensi dell'art. 2959 cod. civ. il rigetto dell'eccezione, deve essere resa in giudizio, assumendo altrimenti valore soltanto di atto interruttivo della prescrizione, ex art. 2944 cod. civ. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sesta sezione Civile, nell'ordinanza n. 9930 dell'8 maggio 2014 (presidente Dott. M. Finocchiaro, relatore Dott.ssa A. Amendola), con la quale ha rigettato il ricorso presentato da un creditore avverso la decisione della Corte dAppello di Caltanissetta di revocare un decreto ingiuntivo relativo al pagamento di compensi per prestazioni professionali, ritenuti prescritti. Nel caso di specie, l'opponente, da un lato lamentava il fatto che la Corte Territoriale non avesse ritenuto rinunciata la prescrizione, pur avendo attribuito valore allimplicita ammissione dell'esistenza del credito da parte dellamministratore della società creditrice; dall'altro sosteneva l'impossibilità che fosse intervenuta la prescrizione relativamente al suo credito, in quanto esso traeva origine da un contratto stipulato in forma scritta. In risposta alle doglianze del ricorrente la Cassazione ha evidenziato che, dal punto di vista logico e giuridico , l'affermazione di non conoscere l'esistenza di un credito rappresenta l'esatto contrario del suo riconoscimento; ha altresì puntualizzato che, quand'anche le prescrizioni trovino la loro ragion d'essere in relazione ai rapporti che si svolgono senza formalità e nei quali il pagamento suole avvenire senza dilazione, della loro esistenza può legittimamente avvalersi anche il soggetto obbligato a tenere le scritture contabili. Nell'ordinanza in esame, la Suprema Corte ha riconosciuto che l'ammissione del debitore di non aver estinto il debito possa risultare anche implicitamente dalle contestazioni che il debitore stesso faccia relativamente all'esistenza o all'entità della somma richiesta: ma in base all'art. 2959 c.c., detta ammissione è giuridicamente rilevante - al punto da determinare il rigetto dell'eccezione di prescrizione presuntiva - solo se è resa entro il giudizio in cui è azionato il credito che si assume prescritto; in caso contrario essa non fa venir meno la proponibilità dell'opposizione, tutt'al più determinando l'interruzione della prescrizione. Alla luce di tali considerazioni la Corte ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio....
Dipendente "stacanovista": risarcibile il danno alla salute
Con la recente sentenza n. 9945, pubblicata in data 8 maggio 2014, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sulla responsabilità del datore di lavoro per il danno alla salute arrecato al dipendente oberato da un eccessivo carico di lavoro.
Danno futuro, chi subisce la lesione deve dimostrare la contrazione del reddito
Anche in presenza di una grave menomazione dovuta ad un fatto illecito altrui - sinistro stradale -, per ottenere il risarcimento del «danno patrimoniale futuro», è il danneggiato che deve dimostrare la contrazione dei suoi redditi. Infatti, se la riduzione della capacità di lavoro si può presumere, non ugualmente si può fare per la quantificazione dei mancati guadagni. Né può soccorrere il giudice in via equitativa, salvo il caso in cui non sia possibile per la parte darne dimostrazione. Lo ha ...
Il giudice deve invitare la parte a sanare l'omesso deposito della procura
Se il giudice rileva il mancato deposito della procura speciale alle liti, richiamata negli atti, ha l'obbligo di invitare la parte a presentarla «in qualsiasi momento», e solo all'esito della richiesta potrà determinare se la costituzione in giudizio sia stata corretta o meno, giudicandola non valida unicamente in assenza di risposte. È questo il principio espresso dalla Corte di cassazione, con la sentenza 11359/2014, che ha accolto il ricorso dei Lloyd's di Londra contro la sentenza della Corte ...
3° Healthcare Summit: sostenibilità e nuovi modelli per la sanità del futuro
Il Sole 24 ORE in collaborazione con Sanità organizza la terza edizione del Healthcare Summit dove verranno analizzate le principali dinamiche che regolano il mercato sanitario in Italia e qual è il ruolo dei diversi attori coinvolti: Ministero, Regioni ed Imprese.
Violenza domestica e di genere, serve una svolta culturale
Si terrà domani, 23 maggio, a Torino la giornata di ricerca sul tema «Soggetti vulnerabili, diritti fondamentali. La violenza domestica e di genere», organizzata da Cammino-Camera Nazionale Avvocati per la Famiglia e i Minorenni. Ospitiamo l'intervento di Maria Giovanna Ruo che ripercorre i principali risultati delle ricerca che indaga sul numero oscuro delle vittime di violenza domestica e di genere e i meccanismi che vi sottendono
No all'assegno di mantenimento per i figli «specializzandi»
I figli specializzandi in medicina che ricevono il compenso previsto dal contratto per la formazione specialistica non hanno diritto ad essere mantenuti dai genitori, separati o divorziati, che dunque non devono versare nessun assegno all'ex coniuge che sostiene, invece, che «il contratto di specializzazione non dà luogo a un rapporto di lavoro stabile» ma è solo una sorta di borsa di studio. Lo sottolinea la Cassazione, con la sentenza 11414/2014
FALLIMENTO: può essere dichiarato entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese
Ai sensi dellart. 10 L. Fall., ai fini della decorrenza del termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento di un'impresa svolta in forma societaria, occorre fare riferimento alla data della sua effettiva cancellazione dal registro delle imprese, a nulla rilevando nei confronti dei terzi il diverso momento in cui la relativa domanda sia stata presentata presso il registro delle imprese. Questo il principio di diritto statuito dalla Cassazione civile, sezione prima, con la sentenza n. 10105 pronunziata in data 09/05/ 2014 in materia di fallimento. Nel caso di specie, una società proponeva gravame avverso la pronunzia della Corte di Appello che aveva rigettato il reclamo avverso la sentenza con la quale il Tribunale, in data 15 novembre 2011, aveva dichiarato il fallimento della detta società sebbene la stessa fosse stata cancellata dal registro delle imprese il 19 novembre 2010 e dunque oltre lanno. In particolare, la società deduceva la violazione della L. Fall., art. 10, e art. 2495 c.c., atteso che la Corte aveva ancorato la decorrenza del termine all'effettiva iscrizione nel registro delle imprese della cancellazione della società, contro il principio generale, espresso in tema di notificazioni, secondo cui i tempi tecnici degli uffici pubblici non possono gravare sulla parte che presenta l'istanza. Ebbene, la Suprema Corte, ha rigettato il ricorso sul presupposto ormai chiarito dalle Sezioni Unite, secondo il quale ove il fallimento venga dichiarato entro un anno dalla cancellazione, la società (in persona del legale rappresentante) continua ad essere destinataria della sentenza dichiarativa e delle successive vicende impugnatorie: è una fictio iuris che postula la società esistente, ma ai soli fini del fallimento, nel quale dunque il contradditorio si instaura con l'ultimo rappresentante legale, ossia l'amministratore o il liquidatore. I giudici di legittimità hanno poi precisato che, con riguardo al dies a quo del termine annuale entro il quale può essere dichiarato, ai sensi dellart. 10 legge fall., il fallimento della società estinta, il testo originario della predetta norma prevedeva che l'imprenditore, seppure avesse "cessato l'esercizio dell'impresa", potesse essere dichiarato fallito entro un anno (sempre che l'insolvenza si fosse manifestata anteriormente o nell'anno successivo), con espressione tuttavia non univoca, potendo riferirsi sia alla cancellazione della società e sia alla mera disgregazione dell'azienda come iniziativa imprenditoriale. L'orientamento dominante in giurisprudenza reputava non cessata l'impresa collettiva sino a quando esistessero rapporti pendenti, con conseguente ammissibilità della liquidazione concorsuale; la sentenza della Corte costituzionale del 21 luglio 2000, n. 319 dichiarò la norma incostituzionale, nella parte in cui non prevedeva che il termine annuale per la dichiarazione di fallimento dell'impresa collettiva decorresse, per le società, dalla cancellazione dal registro delle imprese. Di conseguenza, il nuovo testo della L. Fall., art. 10, risultante dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 9, con l'espressione "cancellazione" ha recepito il portato del giudice delle leggi divenendo l'iscrizione della cancellazione il dies a quo del termine annuale per la fallibilità delle società cancellate. Nessun elemento autorizza ad interpretare la disposizione con riferimento alla diversa data di presentazione della domanda di iscrizione. Il registro delle imprese, per la sua funzione pubblicitaria, dichiarativa o costitutiva degli effetti, impone l'iscrizione dell'evento; e la legge prevede il prodursi degli effetti proprio dal momento in cui l'iscrizione è avvenuta, a tutela dei terzi. Né precisano gli ermellini può essere effettuata alcuna analogia con gli effetti della notificazione di un atto del processo ove vige il principio della scissione del momento perfezionativo della notificazione per il richiedente e per il destinatario, con Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte, ritenuto che la sentenza impugnata non si prestasse ad alcuna delle censure formulate dalla società fallita, ha respinto il ricorso, precisando viepiù come il termine annuale individuato dallart.10 della Legge Fallimentare rappresenta il punto di mediazione nella tutela dei contrapposti interessi quali, da un lato quelli dei creditori e dallaltro quello generale alla certezza dei rapporti giuridici. Sul punto si evidenziano altra pronuncia della Corte di Cassazione, già oggetto di pubblicazione sulla rivista, che con sentenza n. 8932 del 12/04/2013 afferma, categoricamente: niente dichiarazioni di fallimento oltre i 365 giorni dalla cancellazione al registro delle imprese...