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Aggiornato: 1 ora 52 min fa

DISCIPLINARE NOTAI: è legittima la sanzione per violazione dell’articolo 29 comma 1 bis della Legge 52/1985

Sab, 19/04/2014 - 13:41
È legittima la sanzione disciplinare inflitta al notaio per aver rogato atti di compravendita immobiliare nei quali è stata omessa sia la dichiarazione degli intestatari della conformità allo stato di fatto dei dati catastali, sia la dichiarazione di conformità a firma del tecnico abilitato, dovendosi ricordare che detti incombenti sono previsti a pena di nullità assoluta. Questo è il principio di diritto sotteso alla sentenza n. 8611 della Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, pubblicata il giorno 11 aprile 2014.  IL CONTESTO NORMATIVO L. 122/2010  Art. 19 Aggiornamento del catasto 14. All'articolo 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52, è aggiunto il seguente comma:  «1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, (( ad esclusione dei diritti reali di garanzia, )) devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, (( sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei 64 registri immobiliari».   La norma di cui all’articolo 29 comma 1 bis della Legge 52/1985, introdotto dall'art. 19 comma 14 del D. L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in Legge 30 luglio 2010 n. 122, come da ultimo modificato dalla Legge 122/2010 si divide in due periodi:  Il primo mira a perseguire la cosiddetta conformità o coerenza oggettiva degli immobili, ossia la conformità degli immobili esistenti alle risultanze del Catasto, stabilendo che gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, debbano contenere, a pena di nullità, l'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie catastali depositate in Catasto e la dichiarazione di parte di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. Detta dichiarazione, tuttavia, può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato.  Il secondo periodo mira, invece, a perseguire la conformità o coerenza soggettiva dei medesimi beni, ovvero la corrispondenza tra le risultante del Catasto e le risultanze dei Registri immobiliari, la cui sussistenza deve essere invece verificata dal notaio. L’intervento del legislatore, dunque, ha toccato quattro piani differenti: 1) l’indicazione in atto degli estremi degli identificativi catastali dei fabbricati interessati dalla normativa, così come sono riportati al Catasto Fabbricati; 2) la menzione dell’avvenuto deposito presso il Catasto Fabbricati della planimetria dei fabbricati oggetto del negozio, 3)la dichiarazione resa in atto dagli intestatari circa la conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie; 4) l’allineamento soggettivo tra l’intestazione catastale e le risultanze dei Registri Immobiliari. IL COMMENTO Nel caso di specie, l'Archivio Notarile Distrettuale di Roma chiedeva l'avvio del procedimento disciplinare nei confronti di un professionista, in quanto nel corso dell'ispezione ordinaria biennale, in 280 atti di compravendita immobiliare urbana, ricevuti dallo stesso, era stata omessa la dichiarazione degli intestatari circa la conformità allo stato di fatto dei dati catastali; menzione prevista a pena di nullità dell'atto dall'art. 29 comma 1 bis della L. vali 27-2-1985 n. 52, comma aggiunto dalla L. del 2010 n. 122, né vi era alcuna dichiarazione di conformità a firma del tecnico abilitato. Il professionista proponeva impugnazione dinnanzi alla Corte di Appello di Roma, che con ordinanza, però, rigettava il reclamo. Per la cassazione di tale provvedimento il notaio spiegava, dunque, ricorso deducendo che erroneamente i Giudici di appello avevano ritenuto la natura assoluta della nullità prevista dall'articolo suddetto, in quanto il suo contenuto offriva diverse possibilità interpretative; infine sosteneva che avrebbe comunque dovuto escludersi l'applicabilità dell'art. 28 della L. N., in quanto le nullità che rilevano ai fini disciplinari devono essere non solo assolute, ma anche inequivoche. A nulla sono valsi, però, i tentativi di difesa del pubblico ufficiale incolpato, in quanto, secondo i Giudici della Suprema Corte, il mancato rispetto del dettato normativo comporta la nullità assoluta dei rogiti stipulati. E, nel caso de quo, affetti da nullità sono ben 280 atti di compravendita.  Alla luce di tali considerazioni, gli Ermellini hanno rigettato il ricorso, condannando il professionista ricorrente al pagamento delle spese di lite....

IL PUNTO SULL’USURA – RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE

Ven, 18/04/2014 - 08:50
Rassegna aggiornata al 23 aprile 2014 USURA BANCARIA: NATURA SOSTITUTIVA E NON ADDITIVA DEL TASSO DI MORA LA CASSAZIONE NON HA MAI SOSTENUTO L’ADDITIVITÀ DEL TASSO CORRISPETTIVO E DEL TASSO DI MORA In materia di usura bancaria, salvo pattuizioni contrarie, gli interessi di mora si applicano in sostituzione dei corrispettivi. È priva di pregio la deduzione di usurarietà di un contratto di mutuo fondata sulla somma aritmetica di interessi di mora ed interessi corrispettivi. Dalla nota sentenza della Corte di Cassazione n. 350/13, infatti, non può desumersi il principio secondo cui interessi moratori e corrispettivi vadano sempre sommati tra di loro, al fine di verificare il superamento della soglia dell'usura. Sentenza | Tribunale di Napoli, dott. Massimiliano Sacchi | 18-04-2014 | n.5949 | Autore: Avv. Valentina Panico USURA BANCARIA: IRRAZIONALE LA SOMMATORIA DEGLI INTERESSI MORATORI CON QUELLI CORRISPETTIVI UNA DIVERSA INTERPRETAZIONE SAREBBE IRRAGIONEVOLMENTE PREMIALE PER IL MUTUATARIO INADEMPIENTE In materia di usura bancaria, per effetto della differente natura dell'interesse corrispettivo e di quello moratorio, al secondo va attribuita natura sostitutiva e non additiva del tasso corrispettivo, venendo lo stesso in rilievo in via eventuale solo per l'ipotesi di inadempimento e su di una somma complessivamente considerata, ove la parte cui si è tenuti per la quota originariamente prevista quale interesse si è ormai inglobata nel capitale, perdendo la propria originaria vocazione e natura di interesse.  Laddove la sentenza n.350/2013 della Suprema Corte fa riferimento alla "maggiorazione di tre punti a titolo di mora" non vuole intendersi l'affermazione di principio circa la necessità di effettuare una sommatoria tra i tassi corrispettivi e i tassi moratori in relazione al limite del tasso soglia, ma si ha semplicemente riguardo ad una modalità di pattuizione di quello specifico tasso di mora contrattuale, che così come contrattato, nella fattispecie esaminata dal Giudice di legittimità, risultava moratorio, in sé e per sé considerato, ed a prescindere da qualsivoglia sommatoria con il tasso relativo agli interessi corrispettivi. Dall’interpretazione favorevole al cumulo dei due interessi deriverebbe una funzione abnorme, laddove, per l'ipotesi di inadempimento del contratto di mutuo e di mancato pagamento degli interessi corrispettivi, il tasso di mora, per non oltrepassare il tasso soglia dovrebbe essere contenuto nella differenza tra il tasso moratorio (calcolato come somma del corrispettivo e della maggiorazione per l’inadempimento) e il tasso corrispettivo, con evidente ed irrazionale contenuto premiale riconosciuto in favore del contraente mutuatario a fronte di un palese inadempimento del contratto. Ordinanza | Tribunale di Napoli, Dott. Nicola Mazzocca | 15-04-2014 | Autore: Avv. Maria Luigia Ienco  USURA BANCARIA: GLI INTERESSI MORATORI USURARI VANNO SANZIONATI A NORMA DELL’ART.1384 CC IN QUANTO DEBITO RISARCITORIO L’INIQUITÀ DELLA MORA VA RIMOSSA CON L’ORDINARIO RIMEDIO DELLA RIDUZIONE DELLA PENALE EX ART.1384 CC. Interessi corrispettivi ed interessi di mora non si cumulano al fine della valutazione di usurarietà di un contratto di finanziamento in quanto i due tipi di tassi sono assai diversi tra loro per natura e funzioni in quanto si tratta di entità giuridicamente ed economicamente disomogenee, costituendo i primi la misura di remunerazione del capitale concesso in credito (e, per quanto qui interessa, di rimborso dei connessi costi) e i secondi quella del risarcimento del danno, dovuto in caso di inadempimento del conseguente obbligo restitutorio, come conferma la stessa rubrica dell’art.1224 cc.  Gli elementi di costo del credito che non siano contemplati nel calcolo dei tassi soglia non possono essere assoggettati all’applicazione della normativa antiusura. È giuridicamente scorretto estendere agli interessi moratori la specifica disciplina sanzionatoria prevista, agli effetti civili, dall’art.1815, 2° comma cc.  Qualora la pattuizione del tasso moratorio appaia manifestamente iniqua, si applicherà, anche d’ufficio, la disciplina di cui all’art.1384 cc, che prevede la riducibilità della clausola penale eccessiva e non la nullità punitiva ex art.1815 secondo comma cc. Decisione | Arbitro Bancario Finanziario - Collegio di coordinamento | 28-03-2014 | n.1875 | Autore: Dott. Walter Giacomo Caturano USURA BANCARIA: LA SOMMATORIA FRA IL TASSO DEBITORE E QUELLO MORATORIO È UN ERRORE DI CARATTERE LOGICO OLTRE CHE GIURIDICO GLI INTERESSI CORRISPETTIVI PATTUITI NEI LIMITI DEL TASSO SOGLIA SONO SEMPRE DOVUTI ANCHE SE QUELLI MORATORI SUPERANO LA SOGLIA Interessi corrispettivi ed interessi moratori, pattuiti come tassi diversi e alternativi, applicabili in ipotesi distinte e alternative non possono essere cumulativamente valutati ai fini del raffronto con il tasso soglia ex l.108/1996.  Sostenere che il tasso soglia ex L.108/1996 sarebbe superato per effetto della sommatoria fra il tasso debitore del mutuo e quello moratorio è un errore di carattere logico oltre che giuridico. Pur in ipotesi di superamento della soglia antiusura per effetto della sommatoria dei due tassi, si determinerebbe - al più - che non sono dovuti gli interessi moratori, e non, tout court, che non siano dovuti anche gli interessi corrispettivi che, in ogni caso, siano stati pattuiti entro la soglia. Ordinanza | Tribunale di Trani, dott.ssa Francesca Pastore | 10-03-2014 | Autore: Avv. Maria Luigia Ienco USURA BANCARIA: INESIGIBILITÀ DI CONDOTTE DIFFORMI DALLE ISTRUZIONI DELLA BANCA D’ITALIA IL SOPRAVVENUTO ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE, PER QUANTO CONSOLIDATO, NON PUÒ DETERMINARE L’ILLEGITTIMITÀ DEL COMPORTAMENTO DEGLI ISTITUTI DI CREDITO L’osservanza alle istruzioni riportate nelle circolari della Banca d’Italia (cui l'articolo 2 della legge 108/ 96 demanda funzioni consultive in materia di rilevazione dei tassi di interesse medi praticati) in vigore durante lo svolgimento del rapporto di finanziamento comporta la legittimita dell’operato della banca, in quanto porta a ritenere rispettato il principio della riserva di legge, essendo la legge stessa ad indicare analiticamente il procedimento per la determinazione dei tassi soglia, affidando al Ministro del Tesoro solo il limitato compito di verificare, secondo criteri tecnici, l'andamento dei tassi finanziari. La ritenuta illegittimità di tali prescrizioni, a seguito di un sopravvenuto orientamento giurisprudenziale, non pare ragionevolmente addebitabile alla banca, che verrebbe a trovarsi in una condizione oggettivamente inesigibile, costretta cioè dapprima a disattendere quanto stabilito dall’organo di vigilanza (in modo forse discutibile ma non manifestamente illegittimo), per non dover successivamente rispondere dell’applicazione di tassi in misura usuraria. Sentenza | Tribunale di Torino, dott.ssa Maurizia Giusta | 17-02-2014 | n.1244 | Autore: Avv. Franco Russo USURA BANCARIA: EFFICACIA IRRETROATTIVA DELLA LEGGE ANTI-USURA LA LEGGE 108/1996 NON SI APPLICA AI RAPPORTI CONTRATTUALI CONCLUSI O RISOLTI PRIMA DELLA SUA ENTRATA IN VIGORE La normativa anti-usura prevista dalla legge 108/1996 non ha efficacia retroattiva e per questo motivo non è applicabile a quei rapporti contrattuali conclusi o risolti prima della sua entrata in vigore. Sentenza | Cassazione civile, sezione terza | 07-02-2014 | n.2821 | Autore: Dott.ssa Claudia Simonetti  USURA BANCARIA: SE IL TASSO MORATORIO È USURARIO, GLI INTERESSI CORRISPETTIVI SONO SEMPRE DOVUTI IL TASSO DI MORA È OGGETTO DI AUTONOMA VERIFICA RISPETTO AL TASSO SOGLIA Il tasso di mora nominale è oggetto di autonoma verifica rispetto al tasso soglia e ciò in ragione della sua autonoma e distinta funzione quale penalità per il ritardato adempimento, fatto imputabile al mutuatario e solo eventuale, la cui incidenza va rapportata al protrarsi e all’entità dell’inadempienza. Ne consegue che, ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia rilevato all’epoca del stipulazione del contratto, la pattuizione del tasso di mora sarebbe nulla, ex art.1815 comma 2 c.c. (e quindi non applicabile), con l’effetto che, in caso di ritardo o inadempimento, non potranno essere applicati interessi di mora, ma saranno unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi.  Ordinanza | Tribunale di Milano, sesta sezione, dott.ssa Laura Cosentini | 28-01-2014 | Autore: Avv. Maria Luigia Ienco USURA BANCARIA: VALIDA LA CLAUSOLA DEI CORRISPETTIVI ANCHE IN CASO DI VIOLAZIONE DEI SOLI INTERESSI MORATORI LE SINGOLE CLAUSOLE CONTRATTUALI SONO TRA LORO AUTONOME In materia di usura bancaria, allorché il contratto di mutuo preveda un tasso moratorio superiore al c.d. “tasso soglia”, ma l’interesse corrispettivo pattuito non superi detto limite, ad essere sanzionata con la nullità sarà solo la clausola riguardante gli interessi moratori e non anche quella degli interessi corrispettivi. Gli interessi corrispettivi sono comunque dovuti, infatti, perché pattuiti in misura inferiore al tasso usurario stabilito all’epoca della conclusione del contratto. Ordinanza | Tribunale di Napoli, quinta sezione civile, dott. Enrico Ardituro | 28-01-2014 | Autore: Avvocato Camilla Perone Pacifico USURA BANCARIA: INTERESSI DI MORA ESCLUSI DAL CONTEGGIO DEL TEG PER LE LORO PECULIARI CARATTERISTICHE ANCHE NELLE OPERAZIONI DI LEASING, TASSO CORRISPETTIVO E TASSO MORATORIO NON VANNO SOMMATI AI FINI DELLA VERIFICA DELL’USURA In materia di usura, le particolari caratteristiche degli interessi di mora (che non sono dovuti al momento della erogazione del credito, ma solo in seguito all'eventuale inadempimento del cliente utilizzatore) giustificano la maggiore onerosità di questi ultimi (volti a compensare il soggetto finanziatore per il predetto inadempimento) e l'esclusione degli stessi dal conteggio del TEG. Ordinanza | Tribunale di Brescia, Sezione centrale civile, presid. Est. A. De Lellis | 17-01-2014 | Autore: Avvocato Camilla Perone Pacifico USURA BANCARIA: È ONERE DEL GIUDICE VERIFICARE LA PRODUZIONE DEI DECRETI MINISTERIALI È RIMESSA ALLA PARTE CHE NE HA INTERESSE L’ONERE DI PRODURRE I DECRETI DI CUI ALLA L.108/1996 Al momento in cui il Giudice emette il provvedimento con cui dispone la verifica, da parte del CTU, dei tassi soglia, il Tribunale ha l’obbligo di pronunziarsi in merito alla verifica relativa all’assolvimento dell’onere della prova e cioè della produzione, della parte che intende avvalersene, dei decreti ministeriali previsti dalla legge 108/1996. Ordinanza | Tribunale di Nola, dott.ssa Caterina Costabile | 09-01-2014 | Autore: Avv. Maria Luigia Ienco USURA BANCARIA: LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA IMPEDISCE IL SUPERAMENTO DEL TASSO SOGLIA NON SI HA USURA SE LA CD. CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA PREVEDE CHE IN CASO DI TEORICO SUPERAMENTO DEL LIMITE LA MISURA SIA PARI AL LIMITE MEDESIMO Il contratto di mutuo nel quale risulta, espressamente indicata, la disciplina del rapporto negoziale per quanto concerne le modalità, i termini del rimborso ed il calcolo degli interessi, anche moratori, preclude il verificarsi del superamento del tasso soglia. La cd. clausola di salvaguardia impedisce cosi il verificarsi dell’usura in quanto limita ab origine il possibile superamento del tasso soglia. Ordinanza | Tribunale di Napoli, sezione quinta bis, dott.ssa Monica Cacace | 09-01-2014 | Autore: Avv. Maria Luigia Ienco USURA BANCARIA: C.M.S. ESCLUSA DAL TEG PER I RAPPORTI ANTE LEGGE N. 2/2009 L’OSSERVANZA DELLE SOGLIE DI CUI ALLE RILEVAZIONI DELLA BANCA D’ITALIA COMPORTA IN VIA AUTOMATICA IL RISPETTO DELL’ART.644 CP Per i rapporti ante legge n.2/2009, ragioni logico-matematiche, oltre che giuridiche, ostano all’inclusione nel Tasso Effettivo Globale della commissione di massimo scoperto, la cui rilevanza ai fini della normativa antiusura va negata. L’osservanza, da parte degli operatori creditizi, dei tassi soglia individuati secondo le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia deve ritenersi automaticamente rispettosa del precetto penale di cui all’art.644 cp. Una diversa interpretazione, infatti - seppur avallata da qualche pronuncia della Cassazione Penale - appare lesiva del principio nullum crimen sine lege, posto che la norma incriminatrice dell’art.644 cp si implementa contenutisticamente della regula via via enucleata dai decreti ministeriali di recepimento delle menzionate rilevazioni dell’istituto di vigilanza. In via transitoria, la soglia usuraria soggiace alla metodica di rilevazione fissata in precedenza dai decreti ministeriali recettivi delle rilevazioni trimestrali dalla Banca d’Italia. Sentenza | Tribunale di Verona | 09-12-2013 | Autore: Avvocato Camilla Perone Pacifico USURA BANCARIA: IL CLIENTE DEVE FORMULARE SPECIFICHE CONTESTAZIONI È ONERE DELLA PARTE ALLEGARE I MODI, I TEMPI E LA MISURA DEL SUPERAMENTO DEL TASSO SOGLIA È onere della parte che deduca in giudizio l’applicazione del tasso usurario allegare ed indicare i modi, i tempi e la misura del superamento del tasso c.d. “soglia”. Il meccanismo di ammortamento c.d. “alla francese” non è illegittimo tout court, ma solo nei limiti in cui comporti l’illegittimo computo di interessi anatocistici. Sentenza | Tribunale di Ferrara, dott.ssa Anna Ghedini | 05-12-2013 | n.1223 | Autore: Dott. Walter Giacomo Caturano USURA BANCARIA: TASSO DI MORA ESCLUSO DAL TEG, NON ESSENDO DETERMINANTE NELLA CONCESSIONE DEL CREDITO L’INTERESSE MORATORIO SI APPLICA SULL’UNICA E AUTONOMA OBBLIGAZIONE DERIVANTE DALL’INADEMPIMENTO In materia di usura bancaria, gli interessi moratori non possono venire rapportati al c.d. tasso soglia. L’interesse moratorio non concorre  in alcun modo nella rilevazione periodica e, quindi, nella formazione del c.d. tasso soglia. Oltre ad essere espressamente esclusi dal calcolo del TEGM, infatti, questi si pongono su un piano profondamente diverso rispetto agli interessi corrispettivi e non sono determinanti nella concessione del credito.  Infatti, il dato testuale contenuto nell’art.1 del d.l. 29.12.2000, n.394 (conv. Dalla l.28.02.2001, n.24) per il quale, ai fini dell’usura, si fa riferimento agli “interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promossi o convenuti, a qualunque titolo” non può cancellare il forte legame che esiste tra erogazione del credito ed usura e, soprattutto, non può snaturare la funzione degli interessi moratori. Questi ultimi assolvono, dal punto di vista del debitore, ad un ruolo essenzialmente dissuasivo, ricordandogli che l’inadempimento comporta per lui un aggravio dell’onere, mentre, dal punto di vista del creditore, assumono un ruolo puramente risarcitorio, non rappresentando un vero e proprio corrispettivo del credito erogato. Per il cliente, la concreta applicazione degli interessi moratori dipende, in definitiva, solo dal proprio comportamento e ciò conferma che si è al di fuori del fenomeno dell’usura. Se il giudizio circa la presenza dell’usura va effettuato al momento della pattuizione degli interessi, va considerato che, all’atto della stipula, gli interessi moratori si configurano quali interessi solo virtuali, ragion per cui va verificato come essi vengano determinati. Generalmente gli interessi moratori maturano su tutte le somme a qualsiasi titolo dovute dal cliente dal momento dell’inadempimento. Ciò vuol dire che l’inadempimento fa nascere un’obbligazione a latere che ha sua vita autonoma rispetto alle rate, le quali proseguono (se adempiute) secondo il piano di ammortamento. Al momento dell’inadempimento, ci si trova al cospetto dell’unica obbligazione che il debitore è tenuto a soddisfare per capitale e interessi, senza che questi ultimi possano essere considerati separatamente.  In conclusione, non si verifica alcuna sommatoria di interessi (corrispettivi e moratori), atteso che gli interessi di mora operano sull’unico debito esistente. Tale peculiare configurazione esclude alla radice anche la sussistenza di alcun fenomeno di anatocismo, dacché di anatocismo dovrebbe discutersi – e non di usura – qualora si considerassero capitale ed interessi oggetto di separate obbligazioni, sulle quali debba applicarsi l’interesse moratorio. L’inadempimento della rata non può che trasformare le due obbligazioni, seppur originariamente distinguibili, in un unico debito, per cui non viene a concretizzarsi alcuna sommatoria di interessi, dato che gli interessi moratori operano sull’unico debito. Decisione | Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli | 05-12-2013 | n.125/14 USURA BANCARIA: SE IL TASSO MORATORIO È SOSTITUTIVO NON VA SOMMATO AL TASSO CORRISPETTIVO L’ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO DI NAPOLI SUPERA NUOVAMENTE L’ORIENTAMENTO DELLA CASSAZIONE Nel raffronto con il tasso soglia antiusura, la sommatoria del tasso contrattuale degli interessi corrispettivi e di quello moratorio va esclusa, ogni qualvolta risulti chiaro dalle prescrizioni contrattuali la sostitutività e non additività dei due tipi di interesse. Decisione | Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli | 26-11-2013 | n.21/14 USURA BANCARIA : GLI INTERESSI MORATORI NON VANNO SOMMATI A QUELLI CORRISPETTIVI LA MERA OPERAZIONE ARITMETICA DI SOMMATORIA DEI DUE TASSI È PRIVA DI FONDAMENTO LOGICO-GIURIDICO In materia di usura bancaria, la diversa natura dell’interesse corrispettivo e di quello moratorio esclude che gli stessi possano essere sommati ai fini della verifica del superamento del tasso soglia. Essi, infatti, non gravano contemporaneamente sul debitore, laddove dalle pattuizioni contrattuali emerga che l’applicazione dell’interesse moratorio è prevista come sostitutiva e non additiva rispetto all’interesse corrispettivo. Decisione | ABF – Collegio di Napoli, Pres. Carriero | 26-11-2013 | Autore: Avv. Maria Luigia Ienco USURA BANCARIA: IL TASSO CORRISPETTIVO ED IL TASSO MORATORIO NON VANNO SOMMATI LA CORRETTA LETTURA DELLE PATTUIZIONI SMENTISCE UN’APRIORISTICA INTERPRETAZIONE Allorquando, nel quadro di pattuizioni contrattuali, l’applicazione dell’interesse moratorio sia prevista come sostitutiva e non additiva rispetto all’interesse corrispettivo, ai fini della verifica del superamento del c.d. “tasso soglia anti-usura”, i due tassi non vanno tra loro sommati. Decisione | Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli | 20-11-2013 | n.5877 | Autore: Avvocato Camilla Perone Pacifico USURA BANCARIA: POLIZZA FACOLTATIVA ED INTERESSI DI MORA NON RICOMPRESI NEL TAEG GLI ONERI OPZIONALI E GLI INTERESSI DI MORA NON RIENTRANO TRA I COSTI PREVISTI AL MOMENTO DELLA STIPULA DEL CONTRATTO Dal calcolo del TAEG, al fine dell’applicazione della normativa “antiusura” rimangono esclusi i costi accessori di natura facoltativa, quali, ad esempio, polizze assicurative che vengano offerte al cliente, ma non obbligatoriamente imposte. Per i finanziamenti con un piano di ammortamento predefinito la verifica sul rispetto delle soglie antiusura viene effettuata «solo al momento della stipula del contratto, in cui la misura degli interessi è stabilita», conformemente a quanto chiarito dalla Banca d’Italia con le note del 3 luglio 2013. In tale ottica, gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. Decisione | Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli | 16-10-2013 | n.5195 | Autore: Avv. Franco Russo USURA BANCARIA: LA LEGGE 108/96 NON HA CARATTERE RETROATTIVO – LECITI GLI INTERESSI SUPERIORI ALLA SOGLIA L’USURARIETÀ VA VALUTATA SOLO CON RIGUARDO AL MOMENTO GENETICO DEL RAPPORTO, NON RILEVANDO LE SUCCESSIVE VARIAZIONI DEL TASSO SOGLIA "I criteri fissati dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, primo comma, D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (conv., con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), norma riconosciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale". Sentenza | Corte di Cassazione, sezione prima | 25-09-2013 | n.21885 | Autore: Avv. Maria Luigia Ienco USURA BANCARIA: È ILLEGITTIMA LA CTU SE LA PARTE NON HA FORNITO LA PROVA DI QUANTO ASSUME VIOLATO È ONERE DELLA PARTE DIMOSTRARE L'AVVENUTO SUPERAMENTO DEL TASSO SOGLIA ANCHE MEDIANTE LA PRODUZIONE DEI DECRETI E DELLE RILEVAZIONI DELLA BANCA DI ITALIA La parte che deduce la violazione dell’usura bancaria e dunque l’applicazione di tassi superiori a quelli previsti dalla Legge 108/1996, ha l’onere di dimostrare l'avvenuto superamento dello specifico tasso soglia rilevante, tra l'altro anche mediante la produzione dei decreti e delle rilevazioni della Banca di Italia. La contestazione in tal senso non può essere generica, e, in mancanza non può essere ammessa alcuna consulenza tecnica atteso che la stessa non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume violato. La consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio ed è quindi legittimamente negata dal Giudice qualora la parte tende a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni ovvero è diretta a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. Ove ciò avvenga, la ctu non potrà essere utilizzata in sede di decisione in quanto erroneamente disposta. Sentenza | Tribunale di Latina, dott. Raffaele Miele | 28-08-2013 | n.19154  USURA BANCARIA: ALL'USURA SOPRAVVENUTA NON SI APPLICA L'ART. 1815, SECONDO COMMA, C.C. NEL CONTRATTO DI MUTUO SONO DOVUTI GLI INTERESSI SOLO PER LA PARTE CHE NON ECCEDE IL TASSO SOGLIA ANTI USURA “L’inapplicabilità dell’art. 1815, secondo comma, c.c. all’ipotesi di interessi usurari sopravvenuti  non esclude che gli interessi che superino il tasso soglia siano comunque usurari e che siano perciò non dovuti per la sola parte eccedente quel tasso”. Sentenza | Tribunale di Taranto, Dott. Martino Casavola | 25-06-2013 | n.1359 | Autore: Avv. Maria Teresa De Luca USURA: PER IL CONFIGURARSI DEL REATO RILEVA SOLO IL MOMENTO DELLA PATTUIZIONE IL GIUDICE, NEL MOTIVARE LA SENTENZA DI CONDANNA, DEVE SPECIFICAMENTE INDICARE IL TASSO SOGLIA DI RIFERIMENTO Ai sensi della L. 28 febbraio 2001 n. 24, art. 1, gli interessi devono ritenersi usurari se eccedono il limite legale al momento della loro pattuizione e  non del loro pagamento e ciò a prescindere dal fatto che il reato di usura possa ritenersi consumato in tale secondo momento. È priva di adeguata motivazione la pronuncia del Giudice che, nel valutare la natura usuraria di un finanziamento, non chiarisca a quale provvedimento normativo (di rilevazione dei tassi effettivi globali medi) debba farsi riferimento per determinare il “tasso soglia”, né a quale tra i diversi valori in esso elencati abbia inteso identificare come effettiva base per il calcolo della natura usuraria dei tassi praticati. Sentenza | Cassazione penale, Sezione quinta | 20-02-2013 | n.8353 | Autore: Dott. Walter Giacomo Caturano REATO DI USURA: L’INCERTEZZA NORMATIVA ESCLUDE LA COLPA DEI DIRETTORI DI FILIALE GLI OPERATORI BANCARI DI VERTICE SONO “SOSTANZIALMENTE” VINCOLATI ALLE INDICAZIONI DELLA BANCA D’ITALIA Non costituisce reato ex art.644 cp la condotta dei direttori di filiale degli istituti di credito che abbiano concesso finanziamenti a tassi rivelatisi usurari, ma determinati in misura conforme alle prescrizioni periodicamente impartite dai decreti ministeriali in materia di individuazione del tasso-soglia antiusura, per mancanza dell’elemento soggettivo. Se, da una parte, è condivisibile l’orientamento espresso dalla Cassazione circa la possibilità, per ciascun operatore bancario di livello e in posizione verticistica, di rilevare la palese la contrarietà alla legge (per l'esattezza al disposto normativo di cui all'art.644 4 comma c.p.) della norma extrapenale (Istruzioni della banca d'Italia) che individuava, all’epoca dei fatti di causa, il metodo per la determinazione del tasso soglia senza computare la CMS, d’altro canto, non sarebbe neppure logicamente e concretamente esigibile affermare che, a fronte di espliciti decreti ministeriali che andavano periodicamente ad integrare il precetto della norma incriminatrice i singoli organi apicali delle Banche e ancor più i singoli direttori di filiale preposti alle sedi periferiche degli Istituti di credito, potessero mettere in discussione tali modalità di computo. Come peraltro osservato dalla Suprema Corte, potrebbe ritenersi che fosse addirittura preclusa la possibilità, per i singoli direttori di filiale, anche i più attenti alla ratio della norma incriminatrice del quinto comma dell’art.644 cp, di discostarsi dai criteri predeterminati dai sistemi operativi centralizzati delle varie banche, strutturati su conteggi conformi alle direttive della Banca d’Italia. Sentenza | Tribunale di Arezzo, sez. penale | 29-01-2013 | n.519  USURA BANCARIA: ECCO LE RAGIONI PER CUI LA CORTE HA ERRATO NELL’INCLUDERE IL TASSO MORATORIO NEL CALCOLO DELL’USURA I TASSI EFFETTIVI GLOBALI MEDI NON COMPRENDONO GLI INTERESSI MORATORI In materia di usura bancaria, ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori. La deduzione della nullità delle clausole che prevedono un tasso d'interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, non integrando gli estremi di un'eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, che può essere avanzata anche in appello, nonchè formulata in comparsa conclusionale, ma ciò a condizione che "sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio". Sentenza | Cassazione civile, sezione prima | 09-01-2013 | n.350 ...

Principi generali dell'ordinamento comunitario e attività amministrativa

Ven, 18/04/2014 - 08:41
Agli albori del Terzo Millennio il diritto amministrativo non è più espressione esclusiva dei pubblici poteri nazionali, ma tende ad europeizzarsi in un contesto di osmosi e di reciproche influenze tra ordinamenti.  In uno scenario delle fonti ormai integrato e multilivello, il diritto comunitario, imponendosi sui diritti statali, tende progressivamente a plasmare gli ordinamenti amministrativi nazionali, alterandone le originarie caratteristiche. In special modo i principi elaborati dalla Corte di giustizia, in un processo di affermazione del diritto giurisprudenziale, conformano sempre più i rapporti tra potere pubblico e cives, da un lato, limitando privilegi e abusi delle autorità amministrative, dall'altro, valorizzando le libertà e le pretese dei cittadini.  I diritti e le libertà individuali rappresentano, infatti, la stella cometa del nuovo panorama europeo e nazionale, fungendo sia da finalità che da limite all’esercizio dei pubblici poteri. Il presente lavoro, in una prospettiva diacronica e interdisciplinare, mira soprattutto ad analizzare modalità, tecniche ed effetti dell'infiltrazione dei principi comunitari nell'ordinamento amministrativo italiano.  Obiettivo della ricerca è dimostrare come i principi comunitari abbiano innescato profondi mutamenti, sia in via diretta che in modo riflesso, nella attività della P.A., ampliando gli spazi di libertà del cittadino e, contestualmente, ridimensionando con l'imposizione di nuove regole i profili più autoritari dell'azione pubblica. ...

USURA SOPRAVVENUTA: il creditore non perde il diritto agli interessi ma deve adeguarsi al limite della soglia

Ven, 18/04/2014 - 07:34
Si ringrazia per la segnalazione della sentenza l’Avv.Giorgio Orioli del Foro di Ferrara  Nell’ambito di un rapporto di conto corrente bancario, l'applicazione di un diverso tasso debitorio e creditorio è del tutto legittima, atteso che la medesima periodicità nella capitalizzazione degli interessi non significa affatto che il tasso debba essere identico. In conformità con quanto espresso dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza 11 gennaio 2013, n. 603, qualora, in alcuni trimestri del rapporto di conto corrente, gli interessi corrispettivi e moratori siano da considerare usurari, essi vanno riportati entro il limite del tasso soglia in vigore. Di conseguenza, la banca non perde per i trimestri suddetti il diritto agli interessi, ma deve riaccreditare la differenza tra i tassi ultralegali applicati e i tassi soglia. È del tutto lecito il comportamento dell’istituto di credito che abbia operato il recesso dei rapporti in essere e portato all’incasso titoli ad essa consegnati dal cliente, se il correntista non fornisce la prova dell’esistenza di un contratto di custodia degli stessi titoli – che richiede la forma scritta, come ogni contratto bancario. Questi i principi affermati dal Tribunale di Ferrara, in persona del G.U. Alessandro Rizzieri, con la sentenza n.46 del 22 gennaio 2014, a definizione di un giudizio di opposizione proposto da un società avverso il  decreto ingiuntivo ottenuto dall’Istituto di credito per il pagamento del saldo di conto corrente. Tra i motivi di opposizione, la inosservanza del principio di corrispondenza della periodicità di calcolo tra interessi creditori e debitori, assumendo che in un trimestre gli interessi creditori sarebbero stati pari a zero, sulla quale il Tribunale si è pronunciato rilevandone l’infondatezza considerato che la mancata produzione degli interessi attivi ben sarebbe potuta essere  conseguenza della costante scopertura del conto non avendo gli opponenti neanche indicato che il saldo in quel periodo sarebbe stato  positivo. Sul punto, il Giudice ferrarese ha aggiunto che è legittima l'applicazione di un diverso tasso debitorio e creditorio spiegando che per medesima periodicità nella capitalizzazione degli interessi non deve intendersi affatto che il tasso debba essere identico. Gli opponenti hanno inoltre lamentato – spiegando domanda risarcitoria – che la banca sarebbe receduta dai rapporti in essere, incassando “senza autorizzazione” titoli ad essa consegnati, asserendo che gli stessi sarebbero stati consegnati semplicemente “in custodia”. Tale domanda è stata disattesa dal Giudice rilevando la mancanza di prova di un contratto di custodia dei titoli che  richiederebbe la forma scritta e la allegazione delle distinte di versamento degli assegni regolarmente sottoscritte dalla cliente. Il Giudice, poi, a supporto dell’infondatezza della domanda, pone anche l’ipotesi in cui pur a voler ritenere che la Banca non fosse stata cessionaria dei crediti della società correntista, i titoli non potevano che essere portati all'incasso essendo  strumenti di pagamento e, adempiendo al mandato in cui si sostanzia il rapporto di conto corrente, la banca in tal modo avrebbe legittimamente richiesto il pagamento degli stessi per tentare di ridurre la consistente esposizione debitoria. Viene, quindi, affermata la legittimità dell’operato della banca, che aveva buone ragioni per revocare le linee di credito concesse al correntista, atteso che una parte degli assegni era rimasta insoluta contribuendo alla forte esposizione debitoria del cliente. La pronuncia si segnala, in ogni caso, per il principio ribadito in materia di usura bancaria, laddove ha statuito che, quando sia riscontrato, per effetto dell’applicazione di costi e commissioni di qualunque natura, il superamento della soglia di usura in alcuni trimestri durante il rapporto di conto corrente, deve trovare applicazione al principio sancito dalle recenti sentenze della Corte di Cassazione nn.602-603 del 2013 (*), vale a dire che quando interessi corrispettivi e moratori siano da considerare usurari, essi vanno riportati entro il limite del tasso soglia in vigore, con la conseguenza che la banca non perde per i relativi trimestri il diritto agli interessi, ma deve riaccreditare la differenza tra i tassi ultralegali applicati ed i tassi soglia. In particolare, il CTU nominato aveva rilevato l’applicazione di tassi di interesse superiori alla soglia e, quindi, una ipotesi di usura sopravvenuta in cui, cioè, la valutazione di usurarietà è rapportata al momento del pagamento degli interessi o della relativa maturazione. Nel caso in cui gli interessi originariamente pattuiti al di sotto del tasso soglia superino tale limite nel corso del rapporto è, quindi, inapplicabile l’art. 1815 cc e, di conseguenza, il tasso deve essere ridotto al limite del tasso soglia rilevato di tempo in tempo, in virtù del meccanismo di integrazione legale del contratto previsto degli artt. 1419, comma 2, e 1339 cc. Solo in tali – ristretti – limiti, l’opposizione è stata ritenuta meritevole di accoglimento, con la conseguente riduzione della somma ingiunta per effetto dell’obbligo di restituzione degli interessi oltre-soglia.  (*) Cass. Civ., sentenze nn. 602-603/2013 - Massima  Giurisprudenza ormai consolidata (da ultimo, Cass. N. 25182 del 2010) precisa che, con riferimento a fattispecie anteriore alla L. n. 108 del 1996, in mancanza di una previsione di retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito alle parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purchè ciò avvenga in forma scritta; l'illiceità si ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.: vantaggio usurario, stato di bisogno del soggetto passivo, approfittamento di tale stato da parte dell'autore del reato. Valide dunque le predette clausole contrattuali, è esclusa l'automatica sostituzione del tasso originariamente determinato con quello legale. Al contrario, trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell'entrata in vigore della L. n. 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato la L. n. 108 del 1996, art. 1 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali); al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi dell'art. 1419 c.c., comma 2 e art. 1319 c.c., circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia....

USURA BANCARIA: EFFICACIA IRRETROATTIVA DELLA LEGGE ANTI-USURA

Gio, 17/04/2014 - 13:47
La normativa anti-usura prevista dalla legge 108/1996 non ha efficacia retroattiva e per questo motivo non è applicabile a quei rapporti contrattuali conclusi o risolti prima della sua entrata in vigore. È questo il principio di diritto che la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha ribadito ancora una volta, in materia di usura, con la sentenza n.2821 emessa in data 07/02/2014. Nel caso di specie, una società, in seguito alla proposizione dell’Istituto di credito di una procedura esecutiva in ragione di un credito costituito da scoperto di conto corrente per lo sconto di cambiali e di due prestiti risalenti al 1990 e al 1991, proponeva opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi la quale era stata rigettata dal Tribunale di Camerino e, avverso detta decisione, quindi, presentava ricorso straordinario per cassazione. La Suprema Corte, pur rilevando l’inammissibilità dei motivi di impugnazione con conseguente rigetto del ricorso, ha colto l’occasione per ribadire il principio innanzi riportato che costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità. In particolare, la società ricorrente, con uno dei motivi proposti, aveva censurato la sentenza del Tribunale per violazione degli artt. 1418 cc e 1419 cc assumendo che quel giudice non avrebbe considerato che la clausola del contratto relativa agli interessi  si poneva in contrasto, anche se sopravvenuto, con una norma imperativa e, quindi, sarebbe dovuta essere posta nel nulla. I Giudici del palazzaccio, pur rilevando che con il ricorso sottoposto veniva sollecitato un nuovo giudizio nel merito inammissibile in sede di legittimità, affermano la legittimità della sentenza con la quale era stata rigettata l’opposizione  in quanto  il Tribunale, nel precisare  che i parametri  sulla soglia dell’usura vanno applicati solo ai rapporti in corso al momento dell’entrata in vigore della legge e non a conclusi o rescissi a quel momento, ha fatto corretta applicazione del principio di irretroattività della legge 108/1996.  Si rileva che il rapporto, nella fattispecie oggetto della sentenza, alla data di entrata in vigore della legge 108/1996 si era concluso. Con la sentenza in commento, infatti, la Corte ha ribadito l’orientamento consolidato dalla stessa affermato secondo cui i criteri fissati dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori alla relativa entrata in vigore, come stabilito dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, (conv., con modif., in L. 28 febbraio 2001, n. 24), riconosciuta legittima dal giudice delle leggi. In conclusione per i rapporto sorti antecedenti all’entrata in vigore all’entrata in vigore delle legge anti-usura è possibile legittimamente incassare interessi superiori al tasso soglia...

USURA BANCARIA: EFFICACIA IRRETROATTIVA DELLA LEGGE ANTI-USURA

Gio, 17/04/2014 - 13:47
La normativa anti-usura prevista dalla legge 108/1996 non ha efficacia retroattiva e per questo motivo non è applicabile a quei rapporti contrattuali conclusi o risolti prima della sua entrata in vigore. È questo il principio di diritto che la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha ribadito ancora una volta, in materia di usura, con la sentenza n.2821 emessa in data 07/02/2014. Nel caso di specie, una società, in seguito alla proposizione dell’Istituto di credito di una procedura esecutiva in ragione di un credito costituito da scoperto di conto corrente per lo sconto di cambiali e di due prestiti risalenti al 1990 e al 1991, proponeva opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi la quale era stata rigettata dal Tribunale di Camerino e, avverso detta decisione, quindi, presentava ricorso straordinario per cassazione. La Suprema Corte, pur rilevando l’inammissibilità dei motivi di impugnazione con conseguente rigetto del ricorso, ha colto l’occasione per ribadire il principio innanzi riportato che costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità. In particolare, la società ricorrente, con uno dei motivi proposti, aveva censurato la sentenza del Tribunale per violazione degli artt. 1418 cc e 1419 cc assumendo che quel giudice non avrebbe considerato che la clausola del contratto relativa agli interessi  si poneva in contrasto, anche se sopravvenuto, con una norma imperativa e, quindi, sarebbe dovuta essere posta nel nulla. I Giudici del palazzaccio, pur rilevando che con il ricorso sottoposto veniva sollecitato un nuovo giudizio nel merito inammissibile in sede di legittimità, affermano la legittimità della sentenza con la quale era stata rigettata l’opposizione  in quanto  il Tribunale, nel precisare  che i parametri  sulla soglia dell’usura vanno applicati solo ai rapporti in corso al momento dell’entrata in vigore della legge e non a conclusi o rescissi a quel momento, ha fatto corretta applicazione del principio di irretroattività della legge 108/1996.  Si rileva che il rapporto, nella fattispecie oggetto della sentenza, alla data di entrata in vigore della legge 108/1996 si era concluso. Con la sentenza in commento, infatti, la Corte ha ribadito l’orientamento consolidato dalla stessa affermato secondo cui i criteri fissati dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori alla relativa entrata in vigore, come stabilito dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, (conv., con modif., in L. 28 febbraio 2001, n. 24), riconosciuta legittima dal giudice delle leggi. In conclusione per i rapporto sorti antecedenti all’entrata in vigore all’entrata in vigore delle legge anti-usura è possibile legittimamente incassare interessi superiori al tasso soglia...

USURA BANCARIA: irrazionale la sommatoria degli interessi moratori con quelli corrispettivi

Gio, 17/04/2014 - 13:33
 Si ringrazia per la segnalazione dell’ordinanza l’Avv.Francesco Fiore del Foro di Avellino   In materia di usura bancaria, per effetto della differente natura dell'interesse corrispettivo e di quello moratorio, al secondo va attribuita natura sostitutiva e non additiva del tasso corrispettivo, venendo lo stesso in rilievo in via eventuale solo per l'ipotesi di inadempimento e su di una somma complessivamente considerata, ove la parte cui si è tenuti per la quota originariamente prevista quale interesse si è ormai inglobata nel capitale, perdendo la propria originaria vocazione e natura di interesse.  Laddove la sentenza n.350/2013 della Suprema Corte fa riferimento alla "maggiorazione di tre punti a titolo di mora" non vuole intendersi l'affermazione di principio circa la necessità di effettuare una sommatoria tra i tassi corrispettivi e i tassi moratori in relazione al limite del tasso soglia, ma si ha semplicemente riguardo ad una modalità di pattuizione di quello specifico tasso di mora contrattuale, che così come contrattato, nella fattispecie esaminata dal Giudice di legittimità, risultava moratorio, in sé e per sé considerato, ed a prescindere da qualsivoglia sommatoria con il tasso relativo agli interessi corrispettivi. Dall’interpretazione favorevole al cumulo dei due interessi deriverebbe una funzione abnorme, laddove, per l'ipotesi di inadempimento del contratto di mutuo e di mancato pagamento degli interessi corrispettivi, il tasso di mora, per non oltrepassare il tasso soglia dovrebbe essere contenuto nella differenza tra il tasso moratorio (calcolato come somma del corrispettivo e della maggiorazione per l’inadempimento) e il tasso corrispettivo, con evidente ed irrazionale contenuto premiale riconosciuto in favore del contraente mutuatario a fronte di un palese inadempimento del contratto.  Così si è pronunciato il Tribunale di Napoli, in persona del dott.Nicola Mazzocca, con l’ordinanza del 15 aprile 2014, intervenendo sull’annosa questione della additività o sostitutività degli interessi moratorio e corrispettivo ai fini del confronto con la soglia di usura. Nella specie, la controversia trae origine dal ricorso ex art.702-bis cpc proposto da un mutuatario nei confronti della banca, sul presupposto dell’usurarietà oggettiva (e conseguente nullità) delle clausole del contratto relative agli interessi pattuiti, frutto della somma tra il tasso corrispettivo e quello moratorio. In particolare, la posizione di parte ricorrente si fonda sulla tesi per la quale, con la sommatoria dei tassi moratori (nella misura del 6,795%) a quelli corrispettivi (pari al 5,50%) si perverrebbe ad un tasso complessivo del 12,295% (ben al di sopra – come ovvio – della soglia individuabile ratione temporis). Trattasi, in buona sostanza, del “nuovo” contenzioso sorto in danno degli istituti di credito, all’indomani della pronuncia n.350/2013 della Corte di Cassazione, sulla base di una non univoca lettura del dictum della Suprema Corte, secondo cui la stessa avrebbe sancito l’additività dei due tassi ai fini del confronto con la soglia di usura. Del perché tale prospettazione sia errata – ed irragionevole – è stata già posta l’attenzione su questa rivista in varie occasioni ed, in particolare, con il commento all’ordinanza del Tribunale di Trani, in persona della dott.ssa Francesca Pastore, del 10-03-2014, che ha sancito testualmente: “sostenere che il tasso soglia ex L.108/1996 sarebbe superato per effetto della sommatoria fra il tasso debitore del mutuo e quello moratorio è un errore di carattere logico oltre che giuridico”. Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza in questione, analiticamente e ampiamente argomentata, ben chiarisce i motivi di tale irragionevolezza. La ricostruzione di parte ricorrente – sostiene il Giudice – è il “frutto di una fuorviante interpretazione della statuizione assunta dalla Corte di Cassazione con la nota pronuncia n. 350/2013, nella quale è stato testualmente sostenuto che ‘risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell'applicazione dell'art.644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori’”. Il Giudice, in primis, precisa come la Corte di Cassazione si sia limitata ad affermare niente altro se non che la disciplina del tasso soglia, con le relative sanzioni, riguarda anche gli interessi moratori in sé considerati, nel senso che anche rispetto ad essi deve verificarsi attentamente l’eventuale superamento del tasso soglia. In altri termini, laddove, nella indicata sentenza della Suprema Corte, si fa riferimento alla "maggiorazione di tre punti a titolo di mora" non vuole intendersi l'affermazione di principio circa la necessità di effettuare una sommatoria tra i tassi corrispettivi e i tassi moratori in relazione al limite del tasso soglia, ma si ha semplicemente riguardo ad una modalità di pattuizione di quello specifico tasso di mora contrattuale, che così come contrattato, nella fattispecie esaminata dal Giudice di legittimità, risultava moratorio, in sé e per sé considerato, ed a prescindere da qualsivoglia sommatoria con il tasso relativo agli interessi corrispettivi. Procedere, invece, addizionando il tasso moratorio al tasso corrispettivo, e sottoponendo al vaglio del superamento del tasso soglia il dato derivante dalla detta somma aritmetica significherebbe non cogliere la differente natura delle due previsioni pattizie, che restano autonome l'una dall'altra e solo occasionalmente interdipendenti. Tanto - prosegue il Tribunale - atteso che “in materia finanziaria l'interesse, nel momento stesso in cui si rende disponibile (ovvero alla scadenza di pagamento), diventa capitale”. Per tale motivo, proprio per la diversa natura dell’interesse moratorio, quest’ultimo viene in rilievo in via eventuale solo per l’ipotesi di inadempimento e su di una somma complessivamente considerata, nella quale la quota originariamente prevista quale interesse si è ormai “inglobata” nel capitale, perdendo la propria originaria vocazione e natura(*). Peraltro, nel caso di specie, la banca resistente aveva ben messo in evidenza la differente valenza degli interessi corrispettivi rispetto a quelli moratori, potendosi e dovendosi riconoscere a questi ultimi una inequivoca natura sanzionatoria e risarcitoria presuntiva, da computarsi su una somma ormai cristallizzata, composta dal capitale e dagli interessi corrispettivi e non, piuttosto, mediante una mera addizione dei tassi di mora a quelli corrispettivi, attuata con una elementare operazione aritmetica. Il Tribunale, nel rigettare il ricorso, ha sottolineato l’abnormità derivante dalla prospettazione del mutuatario, accogliendo la quale dovrebbe sostenersi che il tasso di mora, nel caso di specie, vada contenuto nel limite dell’1,295%, ovvero nella differenza tra il tasso moratorio (6,795%) e il tasso corrispettivo ( 5,50 %), con evidente ed irrazionale contenuto premiale riconosciuto in favore del contraente mutuatario a fronte di un palese inadempimento del contratto. Da “sanzione per l’inadempimento”, il tasso di mora diventerebbe, così configurato, “premio per l’inadempimento”. Per effetto della valutazione circa la sostitutività del tasso di mora rispetto a quello corrispettivo, nonché della considerazione sulla unitarietà dell’obbligazione da inadempimento (nella quale vengono a “fondersi” capitale ed interesse corrispettivo), il Giudice partenopeo ha concluso – peraltro con condanna alle spese per parte ricorrente – per il rigetto della domanda del mutuatario, affermando che, solo nella ipotesi di superamento del tasso soglia relativamente all'interesse moratorio in sé considerato - non nel caso di specie – si porrebbe un problema interpretativo circa la sorte di entrambe le previsioni pattizie, sebbene ragionevole sarebbe riconoscere la validità della previsione degli interessi corrispettivi, con sanzione di nullità della sola previsione del tasso moratorio ultra soglia. La pronuncia in esame – contrariamente a quanto una superficiale lettura potrebbe far intendere – si pone come esattamente conforme alla nota sentenza di legittimità n.350 del 2013 ed, anzi, contribuisce a delineare l’ambito di applicazione del principio che da essa può trarsi, fornendone una corretta interpretazione. La giurisprudenza di merito è ormai orientata a respingere tout court la tesi della additività dei due tassi d’interesse, riconoscendo per effetto la necessità di una valutazione autonoma delle due clausole, anche al fine dell’applicabilità della sanzione punitiva di cui all’art.1815, secondo comma cc (si vedano, sul punto: Tribunale di Milano, sesta sezione, dott.ssa Laura Cosentini, ordinanza del 28-01-2014 -  ; Tribunale di Napoli, quinta sezione civile, dott. Enrico Ardituro, ordinanza del 28-01-2014 -  ) ed, anzi, su questa rivista si è recentemente prospettata una lettura alternativa, atteso che sembrerebbero esservi margini per ritenere la disciplina degli interessi moratori totalmente fuori dal fenomeno dell’usura (cfr. le conclusioni del commento all’ordinanza del Tribunale di Trani, dott.ssa Francesca Pastore, del 10-03-2014), tesi confortata dalla recentissima decisione del Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario n.1875/2014 – , a mente della quale il mutuatario che si dolga della sproporzionata applicazione dell’interesse di mora può fare appello all’ordinario rimedio codicistico della riduzione della penale ex art.1384 cc, non rinvenendosi i presupposti per riconoscerne la tutela nella legge 108/1996. In attesa degli sviluppi della giurisprudenza di legittimità sul punto, ed in presenza di un dettato normativo che fa riferimento (ed in maniera non immune da criticità, se si considera il difetto di coordinamento tra l’art.644 cp e la successiva norma di interpretazione autentica) agli interessi “a qualunque titolo” dovuti (cfr. art.1 D.L. 29 dicembre 2000, n.394, conv., con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001, n.24), non può che prendersi atto della correttezza logico giuridica dei principi affermati nella pronuncia in commento, che possono così essere riepilogati: 1) ai fini della valutazione di usurarietà dei tassi pattuiti con un contratto di finanziamento non deve procedersi alla somma degli interessi corrispettivi a quelli moratori; 2) nell’ipotesi di superamento del tasso soglia relativamente all’interesse moratorio in sé considerato, è ragionevole ritenere valida la pattuizione degli interessi corrispettivi, con sanzione di nullità della sola previsione del tasso moratorio ultrasoglia, stante ala natura sostitutiva del tasso moratorio rispetto a quello corrispettivo. (*) Cfr., sul punto, decisione ABF n.125/2014  “Gli interessi moratori si applicano (sia pur in misura corrispondente alla durata dell’inadempimento) sulla rata non riscossa, che comprende, per più (come nella specie), sia il capitale sia gli interessi corrispettivi. Sicché, diviene inevitabile chiedersi se quest’applicazione di interessi (moratori) su interessi (corrispettivi) sia legittima e se il tema dell’usura, uscito dalla porta non finisca, per così dire, con rientrare dalla finestra. (…). Al momento dell’inadempimento, infatti, ci si trova al cospetto dell’unica obbligazione che il debitore è tenuto a soddisfare per capitale e interessi. Quest’unitarietà risulta confermata, ad esempio, dalle regole in tema di imputazione, che non lasciano spazio al debitore di scegliere tra l’una o l’altra obbligazione all’atto del pagamento. Ed è ulteriormente dimostrata dal modo di operare degli interessi moratori, che si applicano all’intero debito inadempiuto, senza dar rilievo a capitale e interessi. In sostanza l’inadempimento della rata non può che trasformare le due obbligazioni, seppur originariamente distinguibili, in un unico debito (…). Se, come visto, l’obbligazione è unitaria ed inscindibile al momento dell’inadempimento il problema viene risolto in radice perché non si crea un fenomeno anatocistico” (ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 125/2014)....

USURA BANCARIA: gli interessi moratori usurari vanno sanzionati a norma dell’art.1384 cc in quanto debito risarcitorio

Gio, 17/04/2014 - 11:35
Interessi corrispettivi ed interessi di mora non si cumulano al fine della valutazione di usurarietà di un contratto di finanziamento in quanto i due tipi di tassi sono assai diversi tra loro per natura e funzioni in quanto si tratta di entità giuridicamente ed economicamente disomogenee, costituendo i primi la misura di remunerazione del capitale concesso in credito (e, per quanto qui interessa, di rimborso dei connessi costi) e i secondi quella del risarcimento del danno, dovuto in caso di inadempimento del conseguente obbligo restitutorio, come conferma la stessa rubrica dell’art.1224 cc.  Gli elementi di costo del credito che non siano contemplati nel calcolo dei tassi soglia non possono essere assoggettati all’applicazione della normativa antiusura. È giuridicamente scorretto estendere agli interessi moratori la specifica disciplina sanzionatoria prevista, agli effetti civili, dall’art.1815, 2° comma cc.  Qualora la pattuizione del tasso moratorio appaia manifestamente iniqua, si applicherà, anche d’ufficio, la disciplina di cui all’art.1384 cc, che prevede la riducibilità della clausola penale eccessiva e non la nullità punitiva ex art.1815 secondo comma cc. In questi termini si è pronunciato l’Arbitro Bancario Finanziario - Collegio di coordinamento, con una decisione - la n.1875 del 28 marzo 2014 - che si inserisce a pieno titolo tra quelle più interessanti nel recente dibattito sulla computabilità degli interessi moratori al fine dell’applicazione della normativa antiusura. contribuendo ad arricchirlo di elementi e riflessioni ulteriori. Nell’analisi della decisione è opportuno prendere le mosse dall’esame del caso di specie: la controversia trae origine dal ricorso presentato da una società titolare di un rapporto di conto corrente e di apertura di credito con tasso nominale al 5% e tasso di mora al 16,3875%, deducendo, anche con riferimento alla pronuncia della Suprema Corte 9/01/13 n. 350, l’usurarietà del tasso derivante dalla sommatoria dei due valori, rispetto al tasso soglia del periodo (16,3785%). Emerge fin da subito un dato di fatto: a meno di non accogliere la tesi della sommatoria aritmetica del tasso corrispettivo e di quello moratorio (ormai bocciata quasi unanimemente dalla giurisprudenza di merito, a dispetto delle “fantasiose” interpretazioni del dictum della nota Cassazione n.350/2013 - ex multis, cfr. Tribunale di Trani, ordinanza del 10-03-2014), non si versa in ipotesi di usurarietà, atteso che sia l’interesse corrispettivo, sia quello moratorio sono al di sotto della soglia di riferimento (il moratorio, per la verità, coincide con la soglia). A riprova dell’insussistenza di alcuna fattispecie usuraria, la previsione contrattuale della c.d. “clausola di salvaguardia” (per la quale si veda Trib. di Napoli, sezione quinta bis, dott.ssa Monica Cacace, Ordinanza del 09-01-2014), mediante la quale le parti hanno convenuto che il finanziato non possa mai essere obbligato al pagamento di interessi superiori al tasso soglia, pattuizione che escluderebbe anche l’eventuale configurabilità dell’usura “soggettiva” (peraltro non dedotta in tale controversia). Sul cumulo aritmetico dei due tassi, l’ABF è subito e chiaramente contrario.  L’argomentazione è semplice e lineare: perché possa aversi la sanzione di cui all’art.1815, secondo comma cc, occorre che gli interessi siano “promessi o comunque convenuti” con effetto giuridicamente rilevante. “Da ciò discende che la somma che il ricorrente propone può essere presa in considerazione solo se ad essa corrisponde una somma di obblighi di pagamento”. Ciò non accade quando vengano in rilievo gli interessi moratori, che sono e restano alternativi rispetto agli interessi corrispettivi.  In sostanza, “la somma aritmetica proposta dal ricorrente non corrisponde alla individuazione di alcun obbligo di pagamento assunto con il contratto, ma, al contrario, contraddice alle pattuizioni intercorse ed è perciò priva di base giuridica”. In tal modo, è presto smentita la prospettazione da più parti formulata all’indomani della citata sentenza n.350/2013. L’importanza della pronuncia in commento, tuttavia, non si ferma a tale - ormai consolidata - affermazione. Tra i quesiti posti dal Collegio remittente, infatti, vi è quello della possibilità o meno di assoggettare gli interessi moratori alla disciplina sanzionatoria prevista dall’art.1815, secondo comma cc. A tal proposito la Corte di Cassazione sembra chiara nel rispondere positivamente a tale domanda: anche gli interessi moratori devono sottostare alla soglia di usura, in virtù soprattutto dell’inciso “a qualunque titolo” promessi o convenuti, di cui alla norma di interpretazione autentica dell’art.1815, comma 2 (d.l.. 324/2000, convertito dalla L. 24/2001). L’orientamento, tuttavia, non è “insuperabile”. Come già si era sottolineato in sede di commento all’ordinanza del Tribunale di Trani del 10-03-2014 sussistono margini per ritenere che, in realtà, gli interessi moratori non abbiano rilievo ai fini dell’applicazione della normativa antiusura, ed il Collegio di coordinamento sembra dare “consistenza” ai dubbi sollevati su questa rivista. Due gli aspetti che depongono a favore di una revisione dell’orientamento espresso dai giudici di legittimità: 1) la profonda diversità ontologica e funzionale tra le due categorie di interessi: “gli interessi corrispettivi sono stabiliti in dipendenza di un equilibrio concordato che determina anche i termini temporali in cui lo spostamento di disponibilità di una somma di denaro da un soggetto all’altro abbia effetto. Al contrario, gli interessi moratori compensano il creditore per la perdita di disponibilità di somme di denaro che esso non ha accettato, ma che solo subisce per effetto del ritardo nel pagamento che gli è dovuto e per un periodo di tempo non prevedibile. Il fatto che la misura degli interessi moratori possa essere preconcordata tra le parti non incide sulla differenza rilevata perché preliquidare l’ammontare del danno non muta la natura giuridica del debito risarcitorio”.  L’ABF insiste sulla natura risarcitoria degli interessi moratori e tale natura non può che far propendere per un’irrilevanza degli stessi ai fini dell’applicazione della legge n.108/1996, che invece è volta a colpire le voci di costo un prestito che costituiscano, direttamente o indirettamente, la “remunerazione” del capitale. “Remunerazione” è il termine che compare nella legge 108/1996, mentre l’art.644 cp punisce chi si fa “dare o promettere [...] in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari”, e soprattutto, se l’intero impianto normativo è volto a sanzionare il creditore che “imponga” interessi usurari, non può rilevare a tal fine l’applicazione di quel particolare tasso d’interesse dipendente da un fatto del debitore (l’inadempimento) e che è volto a ristorare il creditore per il danno conseguente all’inadempimento. 2) il peculiare procedimento di rilevazione del TEGM trimestrale e di conseguente individuazione del “tasso soglia” di riferimento. Questo è l’aspetto su cui l’Arbitro si appunta con particolare interesse ed attenzione. Il presupposto della riflessione è il seguente: la ratio della legge n.108/1996 è ricreare un sistema basato su soglie rigorosamente “oggettive” (in cui l’usura “soggettiva” rappresenta un’ipotesi meramente residuale) di usurarietà. In tal senso, la legge non fissa una volta per tutte tali soglie ma, più realisticamente e opportunamente, individua il procedimento di rilevazione del TEGM e di individuazione dei “tassi soglia” per categorie omogenee di operazioni.  Non sembra coerente, allora, con tale impostazione, comparare con le soglie di usura elementi che non contribuiscono a formare queste ultime - attraverso le rilevazioni trimestrali - e, come noto, gli interessi moratori non rientrano tra le “voci” che compongono il TEGM riscontrato dalla Banca d’Italia. In sostanza, se non esiste “perfetta” simmetria tra i termini da comparare (il tasso d’interesse ed il tasso soglia) non può avvenire la comparazione, pena l’effettuazione di un’operazione priva di logica e del tutto antigiuridica. Infatti, “così come sarebbe palesemente scorretto confrontare gli interessi pattiziamente convenuti per una data operazione di credito con i tassi soglia di una diversa tipologia di operazione creditizie, così come sarebbe palesemente scorretto calcolare nel costo del credito convenzionalmente pattuito gli addebiti a titolo di imposte, altrettanto risulta scorretto calcolare nel costo del credito pattuito i tassi moratori che non sono presi in considerazione ai fini della individuazione dei tassi soglia, perché in tutti i casi si tratta di fare applicazione del medesimo principio di simmetria”. Sulla base di tali argomentazioni, il Collegio di coordinamento ritiene superabile la giurisprudenza di legittimità e le stesse affermazioni della Corte Costituzionale (“l’indicazione fornita [da quest’ultima] è un chiaro obiter dictum e si dovrebbe dimenticare tutto ciò che si è appreso circa l’analisi dei precedenti giurisprudenziali per dare valore se non vincolante, almeno pregnante, ad un inciso come quello formulato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 25/02/02 n. 29. Tanto più che dal contesto sembra emergere che la Corte intendesse solamente non escludere che i tassi moratori possano essere presi in considerazione al fine della formazione dei tassi soglia”), giungendo alla conclusione che seguire tale orientamento “equivale a dichiarare il disvalore dei tassi moratori ed a renderli come immeritevoli di tutela, assoggettandoli ad un soglia limite che non è la loro”. Naturalmente ciò non equivale a dire che gli interessi moratori siano svincolati da qualunque controllo. L’ABF intende solo escludere che la tutela del mutuatario rispetto all’iniquità del tasso moratorio possa trovare la propria fonte nella normativa antiusura.  Se non è la legge n.108/1996 a disciplinare tale aspetto, il rimedio andrà trovato nell’applicazione dell’ordinaria disciplina codicistica dell’inadempimento e della clausola penale.  Per tale motivo il Collegio conclude per l’applicabilità, alla fattispecie sottoposta al proprio esame, dell’art.1384 cc (“Riduzione della penale - La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento”). In altre parole, quando l’interesse moratorio, a prescindere dalle valutazioni in ordine alla sua usurarietà, sia manifestamente “iniquo” (e nella fattispecie all’esame dell’ABF è evidente la sproporzione tra il tasso corrispettivo, fissato al 5%, e quello moratorio, pattuito al 16,3785%), il Giudice può procedere anche d’ufficio alla sua riduzione.  Per compiere tale valutazione, il giudice può certamente far riferimento anche a quella rilevazione effettuata, a meri fini statistici, nel 2001 dalla Banca d’Italia relativamente ai tassi moratori (che individuava nel 2,1% il valore mediamente praticato dagli intermediari quale interesse di mora), che non può essere, allo stato, utilizzata al fine dell’individuazione di una “soglia” vera e propria, ma costituisce un valido parametro orientativo rispetto all’applicazione dell’art.1384 cc. Le conclusioni a cui è giunto l’Arbitro Bancario Finanziario apriranno un nuovo dibattito tra le “fazioni” delineatesi all’indomani della sentenza n.350/2013 della Corte di Cassazione. Certo è che, a fronte delle recenti pronunce di merito contrarie al dictum degli ermellini, un intervento chiarificatore degli stessi Giudici di legittimità, o - ancor meglio - una riforma dell’intera materia da parte del legislatore sarebbe auspicabile, onde evitare il prodursi di un contenzioso ancor più ingente, destinato a produrre una giurisprudenza inevitabilmente oscillante.  Il rigore argomentativo del Collegio, tuttavia, sembra lasciare pochi dubbi sul fatto che, così come configurato, il sistema normativo antiusura non pare idoneo a risolvere - logicamente e giuridicamente - quello che ormai può definirsi il “dilemma” degli interessi moratori. Può trarsi la seguente conclusione: giacché non può elidersi totalmente la lettera della normativa antiusura (nella sua interpretazione autentica ex d.l.324/2000 e l.24/2001), né può svuotarsi completamente di valore il dictum nomofilattico della Suprema Corte, l’orientamento dell’ABF può suggerire la ricostruzione di un sistema normativo in cui, da un lato, l’art.1815, secondo comma, cc punisce con la sanzione della nullità ogni pattuizione “corrispettiva” (ivi compresi i costi c.d. “accessori” volti indirettamente alla remunerazione del capitale) che superi il tasso soglia di riferimento. Dall’altro lato, il medesimo rimedio non può applicarsi alle pattuizioni concernenti il tasso di mora, la cui funzione è quella di “preliquidare” il debito risarcitorio del cliente che si renda inadempiente. L’iniquità della mora, dunque, va “corretta” attraverso l’ordinario rimedio della riduzione della penale ex art.1384 cc, per l’applicazione del quale il Giudice si troverà comunque ad assumere come parametro di riferimento le soglie di usura (eventualmente aumentate, secondo l’interpretazione via via seguita, con il valore “statistico” del 2,1% rilevato dalla Banca d’Italia in relazione agli interessi moratori).  Attraverso tale ricostruzione, il sistema conserva una certa “coerenza”, nella misura in cui gli interessi moratori pattuiti in un contratto di finanziamento dovranno comunque sottostare (quale che sia il rimedio codicistico specificamente utilizzabile dal cliente) alle soglie di usura, secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la discussa sentenza n.350/2013, ferma restando la necessità di valutare autonomamente i tassi corrispettivi e con la conseguenza che l’usurarietà derivante dall’applicazione della mora comporterà la riduzione degli interessi dovuti entro la soglia – e non la nullità tout court delle clausole relative agli interessi. Tale interpretazione è vieppiù coerente con la tesi di chi sostiene che l’applicazione degli interessi moratori – siccome meramente eventuale al momento della pattuizione – possa configurare, al più, un’ipotesi di usurarietà sopravvenuta....

OPPOSIZIONE DECRETO INGIUNTIVO: la CTU meramente esplorativa non va ammessa

Mer, 16/04/2014 - 15:32
 Si ringrazia l’Avv. Giorgio Orioli del Foro di Ferrara per la segnalazione della sentenza Nell’ambito di un’opposizione a decreto ingiuntivo, è meramente esplorativa e non può trovare accoglimento la richiesta di espletamento di  CTU contabile  in difetto  di precisa indicazione degli elementi probatori da cui desumere l’erroneità dei conteggi proposti dalla Banca. Così si è espresso il Tribunale di Ferrara, nella persona del Giudice Unico Dott.ssa Caterina Arcani, che con la sentenza n.167 depositata il 13/02/2014, ha deciso sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da una società nei confronti della Banca con  la quale aveva stipulato un contratto di apertura di credito. Ebbene, la parte opponente pur non negando la circostanza dell’avvenuta apertura di credito presso la Banca opposta, contestava la prova dell’effettiva erogazione delle somme in suo favore chiedendo, pertanto, l’espletamento di CTU contabile per tale accertamento. La Banca, dal canto suo, aveva prodotto in giudizio non solo il contratto di apertura del conto corrente, ma anche gli estratti conto relativi a tutta la durata del rapporto fornendo, quindi, la piena prova del credito ingiunto. Il Tribunale, chiamato a pronunciarsi sul caso de quo, ha correttamente ribadito il principio, ormai consolidatosi in giurisprudenza, che sulla parte opponente grava l'onere di sostanziare la propria opposizione con l’indicazione di elementi probatori concreti statuendo che la richiesta di CTU “non può trovare accoglimento poiché tale incombente avrebbe un chiaro carattere esplorativo essendo diretto a supplire alle carenze in punto di prova del credito, gravanti sulla parte che si duole della erronea quantificazione della pretesa creditoria.” Alla luce di tali considerazioni, il Giudice ha rigettato l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo, condannando l’opponente al pagamento delle spese di lite. In conclusione l’opponente di fronte alla produzione di tutta la documentazione bancaria relativa a rapporto bancario non si può limitare ad una generica contestazione del credito, chiedendo l’accertamento mediante una consulenza contabile di ufficio per l’individuazione di possibili asseriti errore di calcolo in quanto tale accertamento di natura meramente esplorativa sarebbe in violazione delle regole sulla distribuzione dell’onere probatorio incombente sulle parti....

APPELLO INCIDENTALE: è “tempestivo” se la parte a cui viene notificato l’appello principale, osserva i termini di cui agli artt.325 e 327 cpc

Mer, 16/04/2014 - 13:59
La parte, alla quale sia stato notificato l’appello principale, ove intenda proporre appello incidentale tempestivo, deve comunque osservare i termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c.; sicché, nel caso in cui l’appello principale sia stato notificato in prossimità della scadenza dei termini medesimi, allo scopo di evitare la eventuale sanzione di inefficacia di cui all’art. 334, secondo comma, c.p.c., per il caso in cui volontariamente o involontariamente l’appellato principale (omettendo di costituirsi in giudizio o determinandone comunque le relative condizioni) avesse poi dato luogo ad una causa di inammissibilità o improcedibilità della propria impugnazione può alternativamente procedere:  (a) alla iscrizione a ruolo della causa depositando la propria comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale entro la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c.; (b) proporre comunque la sua impugnazione con citazione notificata entro lo stesso termine. E’ quanto si legge nella sentenza n. 7519 della Corte di Cassazione, terza sezione civile , del 01/04/2014. La vicenda in esame concerne il tema assai delicato dei termini previsti dal nostro ordinamento per proporre appello incidentale. Oggetto di ricorso dinanzi alla Suprema Corte, infatti, è proprio la presunta tardività di un appello incidentale, come proposto dall’odierna ricorrente. Ebbene, già la Corte d’appello distrettuale, presso la quale si era celebrato il giudizio di secondo grado, aveva rilevato sul punto che pur essendo stato, “l’appello incidentale proposto nel termine di cui all’art. 343 c.p.c. esso era stato comunque proposto dopo lo spirare del termine di cui all’art. 325 c.p.c. Né, poteva, in tal caso, invocarsi il beneficio dell’impugnazione tardiva, di cui all’art. 334 c.p.c., perché quella da essa proposta era una impugnazione autonoma e non dipendente, diretta a tutelare un interesse dell’impugnazione non scaturito dall’impugnazione principale”. Ciò posto, l’appellante proponeva ricorso per cassazione, ivi denunciando l’errore dei giudici di merito, i quali avrebbero erroneamente ritenuto tardivo il suo appello incidentale, per violazione del termine c.d. “breve” di cui all’art. 325 c.p.c. (30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado). In particolare, la parte ricorrente eccepiva che la sentenza di primo grado non le era mai stata validamente notificata, e pertanto, il termine breve citato, cui all’art. 325 c.pc., non era mai iniziato a decorrere. Anche a voler ritenere, però, che tale provvedimento fosse stato validamente notificato, “il suo appello non poteva comunque dirsi tardivo” sulla base dell’assunto per cui al fine di qualificare un appello incidentale come “tempestivo”, non rileva il rispetto o meno del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado), ma unicamente il rispetto del termine di cui all’art. 343 c.p.c. (costituzione in giudizio venti giorni prima dell’udienza)”e ciò in quanto:  “(a) l’art. 333 c.p.c stabilisce il principio per cui, dopo che sia stata proposta la prima impugnazione, tutte le altre debbono assumere la forma dell’appello incidentale; (b) l’appello incidentale si propone mediante costituzione in cancelleria venti giorni prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 343 c.p.c.; (c ) ergo, l’appello incidentale rispettoso del termine di cui all’art. 343 c.p.c. deve ritenersi “tempestivo”, a prescindere dal rispetto dei termine di cui cagli art. 325 e 327 c.p.c.”. Orbene, tale tesi non è condivisa dagli Ermellini, che affermano, infatti , come due siano i termini che il sistema delle impugnazioni, previsto dal nostro ordinamento, pone a carico dell’impugnante incidentale, e cioè: (a) un termine “ESTERNO”, cosiddetto perché preesistente alla proposizione di qualsiasi impugnazione, previsto dagli artt. 325 e 327 c.p.c.: si tratta di un termine di decadenza, cui la legge consente di derogare quando l’interesse all’impugnazione incidentale sorga dalla proposizione dell’impugnazione principale (art. 334 c.p.c.); la ratio di questo termine è garantire la certezza dei rapporti giuridici, in ossequio al tradizionale principio ne lites paene immortales fiant; (b) un termine “INTERNO”, previsto dall’art. 343 c.pc.; non derogabile in alcun modo (salva ovviamente la remissione in termini di cui all’art. 153 c.cp.), e la cui ratio non è la certezza dei rapporti giuridici, ma la salvaguardia della parità processuale delle parti e del diritto di difesa dell’appellante principale, rispetto alle doglianze formulate con l’appello incidentale. Ebbene, questi due termini sono tra loro complementari e non alternativi, ovvero legati da un nesso di implicazione unilaterale”. “Infatti, ove non sia rispettato il termine per il deposito in cancelleria della comparsa contenete l’appello incidentale, di cui all’art. 343 c.p.c., l’appello è inammissibile ed a nulla rileverà che per l’appellante non sia ancora spirato il termine di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c. peraltro, è proprio questa (oltre a quella corrispondente dell’art. 371 c.p.c.) l’ipotesi cui si riferisce la decadenza di cui all’art. 333 c.p.c. , che non comporta tuttavia la invalidità di un appello comunque tempestivamente proposto”. “Non è, però vera la [situazione] reciproca, ossia una volta che siano spirati i termini di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., l’appellato potrà ancora proporre il suo gravame incidentale, ma soltanto nelle forme dell’impugnazione tardiva di cui all’art. 334 c.p.c.”. Orbene, a pensarla come sostiene la parte ricorrente si finirebbe per giungere ad una interpretatio abrogans dell’art.334 c.p.c.«Si consideri, infatti, che una volta proposta dall’appellante principale una impugnazione tempestiva, tutte le altre impugnazioni incidentali sarebbero tempestive anch’esse. Non potrebbe, dunque, mai verificarsi alcun caso in cui l’impugnazione principale sia tempestiva, ma per l’appellante principale sia spirato il termine per impugnare: non potrebbe, dunque, mai avverarsi la fattispecie processuale astratta delineata dall’art. 334 c.p.c. E poiché tra due interpretazioni alternative, l’interprete ha l’obbligo di preferire quella che garantisca alla norma di produrre effetti, piuttosto che quella che la priverebbe di ogni utilità, la tesi della ricorrente non può essere condivisa». Ritiene, pertanto, la Suprema Corte che l’appello incidentale debba qualificarsi tardivo “se proposto dopo lo spirare dei termini di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., a nulla rilevando che l’appellante incidentale si sia costituito nei termini di cui agli artt. 343 c.p.c”. Principio quest’ultimo, peraltro, affermato e ribadito in più occasioni dalla Suprema Corte. Si pensi, ad esempio alla sentenza della Sez. 3, n. 21745/2006 secondo cui le impugnazioni incidentali “possono essere proposte, in sede d’appello, con la comparsa di risposta (tempestivamente depositata) purché risulti rispettato il termine ordinario di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado”. (Anche Cass. Civ. Sez. 2 n. 6242/1993; Sez. 3 n. 2433/1988; Sez. L n. 1602/1984 e Sez. 1 n. 1302/1973). Ulteriore conferma di suddetto principio si rinviene anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 11678/1990 , in cui si afferma che “tanto se siano stati proposti con il rispetto dei termini abbreviato o annuale appello e ricorso per cassazione incidentali devono osservare il termine di cui agli artt. 343 e 371, con la conseguenza che è ammissibile solo l’impugnazione tempestiva a norma degli artt. 325 e 327, che peraltro non abbia rispettato il termine di cui agli artt. 343 e 371”.  Non soltanto. Anche in dottrina si è più volte affermato che “il gravame incidentale proposto entro il termine di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. è tempestivo perché è un gravame principale presentato in via iincidentale a norma dell’art. 33;  quello proposto oltre questo termine è, indipendentemente dalla domanda di chi l’ha proposto, tardivo, e come tale, dipende dall’ammissibilità di quello principale”. Orbene, se tutto ciò è vero, tanto basta ad affermare, con particolare riguardo al caso di specie, che  . A tal fine, aggiunge la Corte, la parte ricorrente, onde scongiurare il rischio in questione avrebbe potuto alternativamente: (a) procedere alla iscrizione a ruolo della causa depositando la propria comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale entro la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., ovvero (b) proporre comunque la sua impugnazione con citazione notificata entro lo stesso termine: impugnazione certamente ammissibile e destinata ad essere riunita e considerata a sua volta “incidentale” rispetto alla prima....

ARTT. 702 BIS C.P.C E SEG. - MUTAMENTO DEL RITO - QUESTIONI INTERPRETATIVE COMPLESSE

Mer, 16/04/2014 - 10:01
Se la controversia implica la risoluzione di questioni interpretative bisognevoli di approfondimento il Giudice deve disporre il mutamento del rito speciale ex art. 702 bis c.p.c e seguenti in rito ordinario. IL CONTESTO NORMATIVO  Art. 702-bis. (Forma della domanda. Costituzione delle parti) Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda può essere proposta con ricorso al tribunale competente. Il ricorso, sottoscritto a norma dell’articolo 125, deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell’articolo 163. A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento. Il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza; il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio. Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del quarto comma. Art. 702-ter. (Procedimento) Il giudice, se ritiene di essere incompetente, lo dichiara con ordinanza. Se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’articolo 702-bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale. Se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l’udienza di cui all’articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II. Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un’istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione. Se non provvede ai sensi dei commi precedenti, alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande. L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione. Il giudice provvede in ogni caso sulle spese del procedimento ai sensi degli articoli 91 e seguenti. IL COMMENTO  Quando le questioni agitate in causa presentano un carattere di relativa complessità, che osta alla loro trattazione con rito sommario, è necessario un approfondimento in sede di giudizio ordinario. Così si è espresso il Tribunale di Napoli, nella persona del Giudice unico Dott.ssa Luigia Stravino, che, con l’ordinanza del 04/04/2014, ha disposto il mutamento da rito speciale sommario ex artt. 702 bis e seg. c.p.c in rito ordinario, per una causa avente ad oggetto l’interpretazione di due contratti di finanziamento. Il Tribunale ha, infatti, rilevato che, per la valutazione in ordine alla decidibilità nelle forme del rito sommario, sono da stimare: - l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda; - le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti dei terzi;  - l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto, da cui desumere le questioni controverse tra le parti. Ebbene, nel caso di specie, il Giudice ha ritenuto che le questioni giuridiche oggetto della controversia fossero denotate da una complessità tale da richiedere approfondimenti in sede di rito ordinario. Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ha disposto il mutamento del rito fissando l’udienza per la trattazione della causa....

FALLIMENTO:Equitalia non è tenuta a notificare al curatore il debito fiscale

Mer, 16/04/2014 - 09:35
“Non è necessaria la notifica del ruolo ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare dei crediti tributari basati su di esso, l'ammissione è però da disporsi con riserva (da sciogliere poi ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 88, comma 2, cit., allorchè sia stata definita la sorte dell'impugnazione esperibile davanti al giudice tributario) in presenza di contestazioni da parte del curatore.” Questo è il principio di diritto statuito dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 6126 del 17/03/2014, in ordine all'ammissibilità al passivo fallimentare dei crediti tributari. La sentenza in commento trae origine da un ricorso per cassazione proposto da Equitalia avverso una sentenza del tribunale di Latina. In particolare, il Giudice di prime cure aveva respinto l'opposizione allo stato passivo del fallimento del debitore, proposta da Equitalia per crediti tributari. Nella sentenza impugnata, invero, veniva rilevato che il ruolo su cui i detti crediti erano basati non era stato notificato al curatore, il quale non aveva potuto contestarne la pretesa davanti al giudice tributario. Equitalia, pertanto, avverso tale decisione ricorreva per cassazione deducendo che, ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare di un credito tributario iscritto a ruolo, non è necessaria la previa notifica di quest'ultimo al curatore fallimentare. La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso de quo, ha ribadito un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la notifica della cartella esattoriale non ha alcun carattere essenziale ai fini della ammissione al passivo dei crediti tributari. Infatti, come già più volte espresso dai Supremi Giudici, nelle procedure concorsuali i crediti tributari vengono disciplinati secondo le disposizioni di cui agli articoli 92 L.Fall. e seguenti. Il combinato disposto di suddette norme, permette al concessionario alla riscossione di poter essere ammesso allo stato passivo anche senza la notifica del ruolo al curatore fallimentare, posto che il solo ruolo esattoriale rappresenta un valido titolo attestante il credito. La Corte, oltretutto, evidenzia che il curatore, una volta venuto a conoscenza del credito iscritto al ruolo, può comunque contestarne la pretesa ante il giudice tributario, con conseguente ammissione del credito con riserva ai sensi dell'art. 45, comma 2, D.P.R. n. 602/1973. Riserva, quest'ultima, da sciogliere allorché il giudizio sia stato definito con decisione irrevocabile o risulti altrimenti estinto. Alla luce di tali considerazioni, dunque, gli ermellini, ritenuto fondato il ricorso di Equitalia, hanno cassato il provvedimento impugnato e rinviato la causa ad altro giudice....

ESECUZIONE FORZATA: competenza funzionale ad eseguire il pignoramento da parte degli ufficiali giudiziari

Mer, 16/04/2014 - 08:47
L’affermare che competente per l’esecuzione del pignoramento è l’ufficiale giudiziario addetto all’ufficio giudiziario competente per l’esecuzione non esclude la concorrente competenza dell’ufficiale giudiziario addetto all’ufficio nel cui mandamento si trovi il luogo in cui l’atto debba essere eseguito mediante notifica.  Così si è pronunziato il Tribunale di Napoli, Giudice dr. Antonio Casoria,  con la sentenza n. 5517/2014 emessa il 7/4/12014, che ha rigettato l’eccezione di nullità dell’atto di pignoramento sollevata dall’esecutato sul presupposto che la competenza funzionale ad eseguire il pignoramento appartiene agli ufficiali del luogo in cui è sito l’immobile pignorato e non anche a quelli del luogo di residenza ovvero della sede del debitore. La pronunzia chiarisce e conferma l’orientamento già assunto dalla Cassazione (ex pluris Cass. Sez. III del 14/5/1991 n. 5375) secondo cui quando i beni sono ubicati in un luogo diverso da quello in cui risiede il debitore, la notifica dell’atto può essere eseguita alternativamente o dall’ufficiale giudiziario addetto all’ufficio notifiche del luogo, ove risiede il debitore, ovvero a cura dell’ufficiale giudiziario del luogo, in cui si trovano gli immobili dove ha sede il giudice competente per l’esecuzione. L’affermare che competente per l’esecuzione del pignoramento è l’ufficiale giudiziario addetto all’ufficio giudiziario competente per l’esecuzione non esclude, quindi, la concorrente competenza dell’ufficiale giudiziario addetto all’ufficio nel cui mandamento si trovi il luogo in cui l’atto debba essere eseguito mediante notifica, con l’unica differenza che la notifica a mezzo posta può essere effettuata soltanto dagli ufficiali giudiziari aventi sede nella città in cui ha sede il giudice adito. ...

MAGISTRATI: non possono testimoniare su fatti di causa a cui hanno partecipato

Mar, 15/04/2014 - 17:18
È vietata l'assunzione come testimoni dei Giudici che hanno composto il Collegio nell'ambito del processo in cui hanno svolto le loro funzioni anche nella ipotesi in cui la prova testimoniale sia unicamente finalizzata all'accertamento di un errore materiale nell'atto al quale figurano avere partecipato. È questo il principio ribadito dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n.66 emessa in data 26 marzo 2014 nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 197, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, promosso dalla Corte di appello di Venezia. Nel caso di specie, vi era stato un errore materiale nella redazione del verbale di udienza, il cui accertamento avrebbe consentito di superare l’eccezione di nullità formulata dalla difesa degli imputati e solo la testimonianza del giudice avrebbe permesso di superare lo stato d’incertezza e respingere tale eccezione di nullità. A tale esame ostava però il disposto dell’art.197, comma 1, lettera d, cpp, che prevede l’incapacità assoluta del giudice e del pubblico ministero a testimoniare sui fatti appresi e sulle attività svolte nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Ebbene, sollevata questione di legittimità, la Corte Costituzionale ha ritenuto che lo status di vera e propria incapacità a testimoniare, delineato dall’art.197, comma 1, lettera d, cpp, in realtà fosse pienamente giustificato in ragione dell’assoluta inconciliabilità funzionale tra il ruolo dei giudici e quello di testimone. In particolare, i giudici costituzionali hanno altresì precisato che, quando i fatti sono appresi nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, l'assoluta inconciliabilità tra le funzioni di giudice o pubblico ministero e l'ufficio di testimone emerge dalla constatazione che tali soggetti, ove prestassero l'ufficio di testimone, verrebbero ad assumere un ruolo ontologicamente incompatibile con le rispettive posizioni processuali di assoluta terzietà e imparzialità del giudice, di personale estraneità e distacco del pubblico ministero dai fatti di causa. Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.197 comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, posta dalla Corte di Appello di Venezia....

EQUA RIPARAZIONE: possibile la remissione in termini in caso di omessa notifica

Mar, 15/04/2014 - 15:17
Non ha natura perentoria il termine indicato dalla legge Pinto per la notifica del ricorso diretto ad ottenere l’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo. Nell’ipotesi di omessa o inesistente notifica, dunque, la parte può essere rimessa in termini. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite, che con la sentenza n.5700 del 12/03/2014, ha dato soluzione alla questione relativa alla possibilità, da parte del Giudice, di concedere un nuovo termine per la notifica del ricorso volto al riconoscimento dell’equo indennizzo di cui alla legge n. 89/2001, nel caso in cui il ricorrente non vi abbia provveduto nel termine in origine assegnato con l’emissione del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione. In particolare, il ricorrente censurava il decreto della Corte di Appello di Roma con il quale era stato ritenuto applicabile al procedimento per equa riparazione (legge Pinto) il principio a suo tempo affermato dalle stesse Sezioni Unite (con la sentenza n. 20604/2008), a mente del quale il ricorso pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge è improcedibile ove la notifica del ricorso stesso e del decreto di fissazione d’udienza non sia avvenuta nel termine concesso, non essendo consentito al Giudice assegnare un nuovo termine di natura perentoria per procedere a nuova notifica. A sostegno del principio citato, la Suprema Corte aveva posto l’accento sull’interpretazione sistematica costituzionalmente orientata sulla scorta dell’art. 111 Cost., in punto di ragionevole durata del processo. Dopo una breve disamina delle opposte posizioni dottrinali e giurisprudenziali in materia, la Corte ha rilevato come il testo della legge n. 89/2001 non contenga alcuna previsione legale tipica che sanzioni con il divieto di accesso alla giurisdizione, l’omessa notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione di udienza. Nessuna norma di legge, quindi, determina la natura perentoria del termine concesso per la notifica degli atti. Secondo i Supremi Giudici, dunque, la notifica del ricorso e del decreto, nell’ambito del procedimento di cui trattasi, assolve unicamente la funzione di consentire l’instaurazione del contraddittorio senza incidere in alcun modo nel perfezionamento della proposizione della domanda, che si esaurisce con il deposito del ricorso. Il deposito del ricorso, in altri termini, esaurisce l’editio actionis.  Il principio statuito con la sentenza del 2008 viene quindi ritenuto inapplicabile al caso di specie, una volta preso atto della diversa natura dei procedimenti interessati, e degli obblighi di comunicazione del provvedimento che non sussistono nel caso del rito camerale ex artt. 737 ss. c.p.c.. Il carattere perentorio del termine concesso per la notifica era stato, infatti, a sua volta escluso in tema di opposizione allo stato passivo del fallimento; impugnazione del lodo arbitrale; opposizione al decreto di liquidazione degli onorari del difensore; procedimenti camerali ex artt. 38 ss. disp. Att. c.p.c.. La sanzione di inammissibilità o improcedibilità non può essere ricavata implicitamente in procedure nelle quali non risulti al contempo garantita la conoscenza legale del momento dal quale il termine (perentorio) prende a decorrere. Sulla base di tali argomentazioni, le Sezioni Unite hanno richiamato l’applicazione analogica del regime di sanatoria delle nullità di cui agli artt. 164 e 291 c.p.c., e hanno cassato il decreto emesso dalla Corte d’appello enunciando il principio di diritto per il quale, in tema di equa riparazione, è ammessa la concessione di un nuovo termine perentorio al ricorrente ”nelle ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza”.  Per approfondimenti in materia si veda: EQUA RIPARAZIONE: INDENNIZZABILE ANCHE IL RITARDO NELL’ADEMPIMENTO AL “DECRETO PINTO” L’azione va promossa direttamente alla CEDU se il cittadino ha qualificato la domanda come risarcimento per il ritardo e non come equa riparazione ex legge Pinto. Sentenza | Cassazione civile, Sezioni Unite | 19-03-2014 | n.6312 “EQUA RIPARAZIONE” – PRESUPPOSTI E LIMITI Principi e rassegna giurisprudenziale sul risarcimento dei danni da irragionevole durata del processo. Articolo giuridico | | 12-02-2014 |  IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: IL RISARCIMENTO SPETTA ANCHE AL CONTUMACE La contumacia della parte non preclude il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del processo. Ordinanza | Cassazione civile, sezioni unite | 14-01-2014 | n.585 IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: LA SUSSISTENZA DEL DANNO NON DEVE ESSERE PROVATA Il danno non patrimoniale si presume sino a prova contraria. Altro | Cassazione civile, sezione seconda | 20-01-2014 | n.1070...

RIPETIZIONE INDEBITO - ECCEZIONE PRESCRIZIONE - DISCIPLINA ONERE PROVA

Mar, 15/04/2014 - 10:46
I versamenti eseguiti su conto corrente, in corso di rapporto, hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all'accipiens e tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto. Una diversa finalizzazione dei singoli versamenti deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste relative agli interessi passivi anatocistici.  Da tanto consegue che l’azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.  Con tale sentenza, n. 4518 del 26.2.2014, la Suprema Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di indebito, con una ulteriore precisazione in ordine all’onere della prova ai fini della configurazione della natura ripristinatoria o solutoria dei versamenti in conto corrente. Gli Ermellini, quindi, dopo aver affermato con la nota sentenza delle Sezioni Unite, n. 24418/2010, il principio secondo cui per la prescrizione dell’azione di restituzione, in caso di versamenti con finalità ripristinatoria della provvista, il termine decorre solo dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, mentre in ipotesi di versamenti con finalità solutoria il termine decorre dal momento delle annotazioni delle singole poste, con tale sentenza in commento affermano che è onere della parte che solleva l’eccezione di prescrizione di allegare ogni circostanza rilevante ai fini dell’individuazione del termine di decorrenza. In concreto, la Suprema Corte stabilisce i termini dell’onere probatorio secondo l’ordinaria regola di ripartizione dello stesso e, quindi, afferma che se la Banca eccepisce la prescrizione ha l’onere di allegare e provare, nelle forme e termini di legge, le circostanze da cui si evinca la natura solutoria dei versamenti, indicando quali, tra essi, sarebbero stati effettuati con il fine di rientrare sotto la soglia del fido concesso producendo la documentazione contrattuale dalla quale emerge il limite dello stesso. Tanto sulla presunzione che i versamenti eseguiti su conto corrente in corso di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens. La sentenza in commento, quindi, conferma l’orientamento della giurisprudenza di merito che, in materia di apertura di credito, aveva già avuto modo di precisare che l'istituto bancario, nel proporre l’eccezione di intervenuta prescrizione dell'azione di indebito, ha l'onere di fornire elementi probatori diretti a dimostrare che i relativi versamenti siano da considerare solutori, per far decorrere la prescrizione dalla singola annotazione e, quindi, dimostrare che tali versamenti siano intervenuti extrafido (Trib. Foggia Sez. II, , 18.4.2013; Tribunale di Taranto, 28.6.2012; Trib. Milano Sez. VI, 7.5.2012; Tribunale di Campobasso, 22.04.2012 e Tribunale di Novara, 01.10.2012). Con la sentenza in epigrafe, poi, la Corte, in accoglimento del ricorso incidentale proposto dalla Banca, ha rinviato al giudice del merito perché applicasse il principio elaborato dalle Sezioni Unite con la sentenza n.24418 del 2010 in ordine alla decorrenza della prescrizione, anche all'indebito accertato per commissione di massimo scoperto, sul rilievo che queste ultime, come interessi anatocistici, sono destinate a remunerare la banca dei finanziamenti erogati. ...

REDDITOMETRO: non è necessaria la prova dettagliata dell’impiego delle somme per incrementi patrimoniali

Lun, 14/04/2014 - 17:40
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e non anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e non già con qualsiasi altro reddito. Maggiori chance difensive vengono offerte al contribuente, qualora egli riesca a dimostrare che l’acquisto dei beni di lusso è avvenuto con disponibilità finanziarie esenti o con ritenuta alla fonte. È quanto si apprende dalla Sentenza n. 6396 della Corte di Cassazione, sezione tributaria, depositata il 19/03/2014, nella quale i Supremi Giudici hanno accolto l’appello proposto da un contribuente avverso un avviso di accertamento, col quale l’Ufficio procedeva alla ripresa a tassazione di IRPEF ed addizionali regionali, rettificando ex art. 38, DPR 600/73 (c.d. accertamento sintetico), il reddito dichiarato dallo stesso. Tale reddito, infatti, era ritenuto incongruo rispetto agli acquisti di autovetture (di grossa cilindrata) ed imbarcazioni effettuati dal contribuente tra il 2003 ed il 2005, oltre al possesso di altre due autovetture, un’ulteriore imbarcazione ed alla disponibilità in uso esclusivo di cinque immobili.  Il contribuente impugnava il suddetto avviso dinnanzi alla CTR competente, risultando parzialmente vittorioso. Quest’ultima pronuncia veniva, quindi, fatta oggetto di censura presso la Suprema Corte che, con l’articolata sentenza in commento, accoglieva pienamente le doglianze del contribuente, respingendo il ricorso incidentale dell’Agenzia. Il contribuente aveva dimostrato in maniera puntuale ed analitica la provenienza delle risorse impiegate per effettuare gli acquisti contestati (che, nella fattispecie consistevano in una cospicua somma di denaro ricevuta in donazione dalla madre, oltre a redditi da capitale ed altri derivanti dalla dismissione di alcuni assets). I giudici nomofilattici, chiamati a pronunciarsi sul caso, hanno correttamente statuito come non sarebbe in ogni caso sostenibile che il contribuente sia gravato dall’onere di dimostrare che proprio le somme possedute siano quelle materialmente spese per gli incrementi patrimoniali. “Così facendo infatti – argomenta la Corte – l’Agenzia aveva finito col pretendere una prova diabolica o quasi diabolica. In realtà, per superare gli elementi indicati dall’ufficio il contribuente era tenuto solamente a dimostrare, e ciò ha fatto in concreto, di avere delle ricchezze a disposizione per donazioni, oppure per disponibilità di redditi esenti da imposta o da obbligo dichiarativo in quanto assoggettati ad imposta sostitutiva”. Principio, quest’ultimo, particolarmente singolare in capo ai giudici di merito posto che, con precedenti pronunce (vedi per tutte nn. 6813/09, 2375/10 e, da ultimo, 4183/13), la medesima sezione tributaria aveva affermato l’esatto contrario, ossia che, per superare le presunzioni di spesa derivanti dal redditometro, non è sufficiente la mera esibizione della disponibilità di redditi, ma è necessaria la dimostrazione dell’esistenza della causalità tra il possesso del reddito (esente o soggetto a ritenuta alla fonte) ed il sostenimento della spesa, con la conseguenza che la mancata dimostrazione del nesso eziologico tra spesa e reddito avrebbe condotto ex se al mancato superamento della prova contraria. Con l’odierna pronuncia, quindi, gli Ermellini hanno di fatto censurato la prassi dell’Amministrazione Finanziaria di richiedere al contribuente la dimostrazione del fatto che proprio quei maggiori redditi contestati siano, nello specifico, stati utilizzati per effettuare gli incrementi patrimoniali. Aspetto questo, tutt’altro che secondario, posto che, come correttamente argomentato dai giudici, fino ad oggi il contribuente era onerato da una probatio diabolica, difficilmente (se non improbabilmente) superabile....

OPPOSIZIONE A PRECETTO: competente il giudice di pace se il valore è inferiore ad euro 5.000, anche se il titolo è stato emesso dal Tribunale

Lun, 14/04/2014 - 11:13
Nel caso di titolo esecutivo rappresentato da provvedimento reso in materia di separazione tra coniugi, rientra nella competenza per valore del Giudice di Pace la cognizione dell’opposizione a precetto, laddove la somma precettata sia di importo inferiore ad € 5.000. La statuizione sull’incompetenza, pur se resa con ordinanza dopo la modifica dell’art. 279 c.p.c. da parte della L. n. 69/2009, deve seguire una udienza di precisazione delle conclusioni e postula comunque la statuizione sulle spese.  Sono questi i principi espressi dal Tribunale di Reggio Emilia; nella persona del Giudice Dott. Gianluigi Morlini, che con l’ordinanza emessa il 3/04/2014 è stato chiamato a decidere su una questione di competenza relativa ad un’opposizione a precetto. In particolare, il titolo esecutivo consisteva in un provvedimento del Tribunale reso in sede di separazione tra coniugi e l’importo per cui era stata eseguita l’intimazione ammontava ad una somma inferiore ad € 5.000. Ebbene, il Tribunale ha ritenuto irrilevante, per fondare davanti a se la competenza dell’opposizione, il fatto che il titolo esecutivo risultasse integrato da un provvedimento reso in sede di separazione personale dei coniugi. Il Giudice, ha infatti precisato che “è ben vero che il Tribunale ha competenza per materia in ordine alla tematica dell’assegno di mantenimento a seguito di separazione; ma è altrettanto vero che, nella presente sede oppositiva, non può venire certo in rilievo la modifica delle condizioni di separazione (ciò che ovviamente non spetta al Giudice dell’opposizione a precetto), ma solo l’accertamento di un debito di pagamento per una somma inferiore a quella rientrante nella competenza del Giudice di Pace, essendo irrilevante che il titolo esecutivo sia un provvedimento giurisdizionale del Tribunale”. Alla luce di tali considerazione, il Tribunale di Reggio Emilia si è dichiarato incompetente per valore ed ha fissato la riassunzione del processo dinnanzi al Giudice di Pace, condannando l’opponente al pagamento delle spese di lite....

GIUSTIZIA MAP: RIPRISTINATO IL SERVIZIO

Lun, 14/04/2014 - 08:28
13 aprile 2014  Con un comunicato stampa del 11 aprile 2014, il Ministero della Giustizia ha annunciato il ripristino di “Giustizia Map”, l’area del sito web istituzionale dedicata all’individuazione degli Uffici Giudiziari territorialmente competenti per ciascuna controversia. L’interruzione del servizio, risultante “in fase di aggiornamento” dal 15 ottobre 2013 , aveva creato non pochi problemi agli operatori del diritto, soprattutto a fronte dello stravolgimento della geografia giudiziaria, previsto dall’art.1 della legge per la stabilizzazione finanziaria n. 148 del 2011 ed attuato dal successivo Decreto legislativo 07.09.2012 n. 155, pubblicato in G.U. 12.09.2012. La nostra rivista si era resa parte diligente nella denunzia del disservizio, attraverso un’iniziativa avviata il 10 gennaio scorso, prima con l’invio di una mail di chiarimenti al Ministero (cfr. GIUSTIZIA MAP: GRAVE DISSERVIZIO PER GLI OPERATORI DEL DIRITTO) e successivamente, ottenuta una risposta interlocutoria dal Dicastero di via Arenula (si veda GIUSTIZIA MAP: NESSUNA PREVISIONE SUI TEMPI DI RIPRISTINO DEL SERVIZIO del 15.01.2014), con la segnalazione del problema nelle sedi opportune, sfociata nel deposito presso la Camera dei Deputati di un'interrogazione in forma scritta, a firma dei parlamentari Rostan Michela e Verini Walter (cfr. GIUSTIZIA MAP: INTERROGAZIONE PARLAMENTARE SU INIZIATIVA DI EX PARTE CREDITORIS). Il ripristino del servizio consente finalmente di avere la chiara rappresentazione della nuova dislocazione degli Organi Giudiziari, nel pieno rispetto, da parte dell’Amministrazione della Giustizia, degli obblighi di trasparenza previsti dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n.33, art.13....

OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO: dimezzamento dei termini anche in appello

Sab, 12/04/2014 - 10:37
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la riduzione dei termini prevista dall'art. 645, secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo vigente "ratione temporis", anteriore alla legge 29 dicembre 2011, n. 218) è applicabile anche in appello, attese la "ratio" di celerità del procedimento monitorio, la chiarezza letterale della norma e la disposizione dell'art. 347 cod. proc. civ., secondo cui la costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al Tribunale. Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26252 del 22/11/2013, affermando la possibilità di applicare il principio sotteso all’art. 645 c.p.c. anche al grado di appello. Nel caso di specie, in sede di un’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente, soccombente in primo grado, proponeva appello avvalendosi del termine a comparire dimezzato di cui all’art. 645 c.p.c., comma 2, ma omettendo, poi, di costituirsi entro termini egualmente dimidiati. Il Giudice di appello aveva ritenuto, però, che il mancato rispetto del dimezzamento del termine non fosse rilevante, in quanto, in base all’interpretazione da lui seguita, lo stesso aveva efficacia soltanto nell'ambito del giudizio di primo grado in quanto la disposizione di cui all'articolo in parola (riduzione a metà dei termini per comparire) non si applicava anche al giudizio d'appello. Il secondo comma dell’art. 645 c.pc., anteriormente alla legge 29 dicembre 2011, n. 218, prevedeva, infatti, che “in seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione sono ridotti a metà”. La Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 19246 del 9 settembre 2010, ha dato una nuova interpretazione al dettato normativo, sostenendo che sia i termini di comparizione, sia i termini di costituzione sono ridotti automaticamente alla metà nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, anche a prescindere della volontà dell’attore opponente di dimezzare detto termine. Tale pronuncia, però, ha fatto emergere orientamenti tesi a tutelare l’affidamento dei creditori, evitando così che fosse dichiarata improcedibile l’opposizione depositata tardivamente. A togliere ogni dubbio, è in seguito intervenuto l’art. 1 della Legge n. 218 del 29 dicembre 2011, con cui vengono eliminate dal secondo comma dell’art. 645 c.p.c. le parole “ma i termini di comparizione sono ridotti a metà.” Ebbene, il caso di specie interessa fatti accaduti prima della pronuncia a Sezioni Unite e prima della modifica legislativa. I Giudici di legittimità, nell'affrontare la questione, hanno rilevato, dunque, che la riduzione dei termini è applicabile anche nella fase di appello, poiché essa trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di particolare celerità del procedimento stesso. Detta necessità è maggiormente evidente in primo grado, ma ciò non toglie che l’art. 645 c.p.c. non possa applicarsi anche in appello. Il termine di 5 giorni, dunque, si estende all’intero giudizio di opposizione. Pertanto, se detto termine non viene rispettato in secondo grado, l’impugnazione deve essere considerata improcedibile. Alla luce di tali considerazioni, gli Ermellini hanno cassato la sentenza impugnata, dichiarando improcedibile l’appello e condannando il ricorrente al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio....

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